Le margherite gialle sono infinite. Eppure sempre da qualche parte qualcuno chiamerà ‘margherita gialla’ una specie particolare, come fosse più importante, più gialla delle altre. L’africana Euryops, per esempio, che fiorisce tutto l’anno e illumina anche l’inverno di sole, e i tanti sfacciati seneci che vengono da tutto il mondo. Fra le nostrane, l’arnica montana, su cui ho ripreso un vecchio post qualche tempo fa, il buftalmo (29 novembre 2009) e la pulicaria (21 settembre 2009), per citarne soltanto alcuni. La caratteristica delle margherite è la loro infiorescenza a capolino, che è un insieme di molti fiori di cui sono gli esterni portano le ligule, appendici colorate e brillanti che chiamiamo impropriamente petali.
Le grandi margherite gialle, quelle più appariscenti, decorative e ricercate, hanno però quasi tutte origini straniere. A cominciare dalla Rudbeckia, un cespo denso di ruvide foglie dalla generosa fioritura estiva, dall’arancio al giallo, originaria del Nord America, ma variamente presente in ogni giardino e anche spontaneizzata in varie regioni italiane. I suoi fiori gialli hanno un disco centrale a cono bruno scuro e ligule sottili e appuntite e sono molto persistenti.
La Gazania, sudafricana, è protagonista di tante aiuole cittadine, perché ama il sole e i luoghi caldi vicino al mare. I suoi fiori brillanti sorgono da steli striscianti sul terreno. Scoperta sulla passeggiata di Nervi e in corso Italia, il lungomare di Genova, l’ho cresciuta in giardino per qualche tempo, affascinata dalle sue corolle che si sfumano di scuro verso il centro.
Elegante e sfacciata la Gaillardia, un’altra americana, sfoggia fiori dal raffinato disegno che contiene pennellate di arancio e rosso scuro. E’ un cespuglio scarmigliato, poco addomesticabile almeno di non ricomporlo con costanza via via che cresce. Ma anche se sfugge al controllo si fa perdonare con una fioritura abbondante e praticamente ininterrotta per tutta la bella stagione.
Anche il grande girasole, in tutte le sue varietà e cultivar, da quelle più banali alle più ricercate, non è una pianta autoctona delle nostre regioni, ma arriva da lontano, avventizia o naturalizzata, ancora una volta dall’America, questa volta del Sud.
E’ una pianta slanciata, incredibilmente alta e regge la pesante infiorescenza, il capolino che in questo caso prende il nome di calatide, elevandola in alto per tutto il tempo della fioritura. Poi piega il capo e stringe fra le brattee il cuore di frutti in maturazione. Ogni infiorescenza ne contiene circa mille, acheni biconvessi, con striature nere o grigiastre, di significativo valore alimentare e anche officinale. Fra gli utilizzi medici tradizionali, trovo che in Abruzzo si usava un decotto di semi arrostiti per curare l’ipertensione (1), mentre nelle campagne laziali si riteneva che aggiungerli al mangime delle galline favorisse la produzione di uova (2).
Il suo eliotropismo è famoso e simbolico, ma abbastanza misconosciuto. Tutti pensano che, come dice il nome, i girasoli inseguano, da est ad ovest, il corso del sole. Tuttavia ciò non è esatto. Soltanto i boccioli lo fanno, i virgulti in crescita, che si volgono verso la luce e il calore, nel corso della giornata, ritornando poi da ovest ad est durante la notte. Quando il fiore sboccia del tutto, lo stelo si irrigidisce e le corolle mature stanno ferme, rivolte ad est. Quindi i girasoli fioriti non sono più eliotropici, se si osservano di mattina guardano sole, mentre nel pomeriggio ci appaiono girate dall’altra parte.
Tanti girasoli ha dipinto Vincent Van Gogh in numerose serie di quadri, campi di girasoli, capolini eretti e sfavillanti, recisi nei vasi e poi piegati e sfioriti. Del legame di Van Gogh con i girasoli molto si è detto e fantasticato. Forse, in tutte le sue forme, il girasole ci attrae per quel suo colore, posseduto o perduto, il giallo infinito della luce che scalda.
(1) Leporatti & Corradi (2001) Journal of Ethnopharmacology 74: 17-40
(2) Guarrera PM, Usi e tradizioni della flora italiana. Aracne ed. 2006