Margherite gialle

Margherite gialle : Rudbeckia

Rudbeckia fulgida

Le margherite gialle sono infinite. Eppure sempre da qualche parte qualcuno chiamerà ‘margherita gialla’ una specie particolare, come fosse più importante, più gialla delle altre. L’africana Euryops,  per esempio, che fiorisce tutto l’anno e illumina anche l’inverno di sole, e i tanti sfacciati seneci che vengono da tutto il mondo.  Fra le nostrane, l’arnica montana, su cui ho ripreso un vecchio post qualche tempo fa, il buftalmo (29 novembre 2009) e la pulicaria (21 settembre 2009), per citarne soltanto alcuni.  La caratteristica delle margherite è la loro infiorescenza a capolino, che è un insieme di molti fiori di cui sono gli esterni portano le ligule, appendici colorate e brillanti che chiamiamo impropriamente petali.

Margherite gialle : Gazania

Gazania rigens

Le grandi margherite gialle, quelle più appariscenti, decorative e ricercate, hanno però quasi tutte origini straniere.  A cominciare dalla Rudbeckia, un cespo denso di ruvide foglie dalla generosa fioritura estiva, dall’arancio al giallo, originaria del Nord America, ma variamente presente in ogni giardino e  anche spontaneizzata in varie regioni italiane. I suoi fiori gialli hanno un disco centrale a cono bruno scuro e ligule sottili e appuntite e sono molto persistenti.

La Gazania, sudafricana, è protagonista di tante aiuole cittadine, perché ama il sole e i luoghi caldi vicino al mare. I suoi fiori brillanti sorgono da steli striscianti sul terreno. Scoperta sulla passeggiata di Nervi e in corso Italia, il lungomare di Genova, l’ho cresciuta in giardino per qualche tempo, affascinata dalle sue corolle che si sfumano di scuro verso il centro.

margherite gialle : Gaillardia

Gaillardia aristata

Elegante e sfacciata la Gaillardia, un’altra americana, sfoggia fiori dal raffinato disegno che contiene pennellate di arancio e rosso scuro. E’ un cespuglio scarmigliato, poco addomesticabile almeno di non ricomporlo con costanza via via che cresce. Ma anche se sfugge al controllo si fa perdonare con una fioritura abbondante e praticamente ininterrotta per tutta la bella stagione.

Girasole da olio

Helianthus annuus
Girasole da olio

Anche il grande girasole, in tutte le sue varietà e cultivar, da quelle più banali alle più ricercate, non è una pianta autoctona delle nostre regioni, ma arriva da lontano, avventizia o naturalizzata, ancora una volta dall’America, questa volta del Sud.

Girasole gigante

Helianthus annuus
Girasole gigante macedone

E’ una pianta slanciata, incredibilmente alta e regge la pesante infiorescenza, il capolino che in questo caso prende il nome di calatide, elevandola in alto per tutto il tempo della fioritura. Poi piega il capo e stringe fra le brattee il cuore di frutti in maturazione. Ogni infiorescenza ne contiene circa mille, acheni biconvessi, con striature nere o grigiastre, di significativo valore alimentare e anche officinale. Fra gli utilizzi medici tradizionali, trovo che in Abruzzo si usava un decotto di semi arrostiti per curare l’ipertensione (1), mentre nelle campagne laziali si riteneva che aggiungerli al mangime delle galline favorisse la produzione di uova (2).

Girasole pon pon

Helianthus annuus
Girasole pon pon

Il suo eliotropismo è famoso e simbolico, ma abbastanza misconosciuto. Tutti pensano che, come dice il nome, i girasoli inseguano, da est ad ovest, il corso del sole. Tuttavia ciò non è esatto. Soltanto i boccioli lo fanno, i virgulti in crescita, che si volgono verso la luce e il calore, nel corso della giornata, ritornando poi da ovest ad est durante la notte. Quando il fiore sboccia del tutto, lo stelo si irrigidisce e le corolle mature stanno ferme, rivolte ad est. Quindi i girasoli fioriti non sono più eliotropici, se si osservano di mattina guardano sole, mentre nel pomeriggio ci appaiono girate dall’altra parte.

Tanti girasoli ha dipinto Vincent Van Gogh in numerose serie di quadri, campi di girasoli, capolini eretti e sfavillanti, recisi nei vasi e poi piegati e sfioriti. Del legame di Van Gogh con i girasoli molto si è detto e fantasticato. Forse, in tutte le sue forme, il girasole ci attrae per quel suo colore, posseduto o perduto, il giallo infinito della luce che scalda.

(1) Leporatti & Corradi (2001) Journal of Ethnopharmacology 74: 17-40
(2) Guarrera PM, Usi e tradizioni della flora italiana. Aracne ed. 2006

Arnica montana

Arnica montana

Arnica montana

Quando mia madre (classe 1913) mi parlava con nostalgico entusiasmo delle passeggiate sui monti nella sua giovinezza, due fiori ricorrevano sempre come i più splendidi e ricercati: il narciso e l’arnica. L’immacolato narciso fiorisce all’inizio della primavera, mentre l’arnica, solare, fiorisce d’estate, sui monti oltre 500 metri di altitudine.
L’arnica era per me bambina una specie di miraggio perché, la mamma diceva, fiorisce solo sui pendii più puri delle colline più alte. Sui praticelli della ‘nostra’ campagna, in collina sui 700 metri, l’arnica, secondo mia madre, non c’era. Non ne sono completamente sicura, perché sui prati della mia infanzia anch’io oggi ricordo con accorata nostalgia tanti fiori, i cui contorni sono sfumati nella memoria e non saprei dire se si trovino ancora.

Arnica montana

Arnica montana

L’arnica (Arnica montana, famiglia asteraceae o composite), una margherita giallo sole, piuttosto disordinata, ma robusta, è oggi una specie protetta. L’etimologia del nome come accade spesso si perde nella notte dei tempi ed è incerta. La più divertente è che derivi da una parola greca che significa ‘starnutire’, perché l’odore aromatico e pungente, unito forse alla grezza pelosità, stuzzica appunto gli starnuti. Probabilmente a causa di entrambe queste caratteristiche, ma anche al fatto che contiene sostanze tossiche, gli animali evitano l’arnica e non la brucano. La pianta è velenosa, se ingerita, e anche gli erboristi umani se ne servono soprattutto per uso esterno, per preparare unguenti assai efficaci per storte, lussazioni, ma anche dolori muscolari di varia natura. Così la maggior parte della gente conosce l’arnica perché l’ha vista raffigurata sul tubetto di una qualche pasta miracolosa per alleviare il mal di schiena, un rimedio popolare come il balsamo di tigre e il cannello di zolfo. Non so se le pomate in commercio contengano vera arnica; ma se è così, spero che sia stata raccolta con criterio. Chissà se i nostri nipoti conosceranno mai questa margherita gialla di montagna o se sarà destinata a perdersi nel tempo.
Queste immagini sono state scattate sulle pendici del monte Antola, alta val Trebbia, uno dei monti delle passeggiate di mia madre,  in un giugno di tanti anni fa (vedi nel vecchio blog 30 giugno 2008)

Farfaraccio

Farfaraccio vaniglione

Petasites pyrenaicus

Come tutti gli anni, nello stesso posto, sul ciglio della strada, fiorisce, precoce e umile, il farfaraccio. Fra qualche cartaccia dimenticata, in mezzo alle foglie a forma di cuore, spuntano stelline bianco rosate e gemme delicate. Lo avevo già incontrato (8 marzo 2010) ai margini di questo boschetto in discesa, come sempre ingombro di rifiuti. Forse quest’anno è in anticipo, come molte altre fioriture; forse negli anni scorsi non l’avevo osservato così presto.  Questa pianta veniva chiamata Petasites fragrans, volgarmente ‘vaniglione’, probabilmente per distinguerlo da altri dall’odore meno gradevole; ma oggi gli viene attribuito con certezza l’epiteto specifico di pyrenaicus dalla sua regione di origine. Dalla Spagna ha colonizzato facilmente l’intero Mediterraneo, anche se in Liguria è ancora considerata alloctona naturalizzata.

Farfaraccio vaniglione

Petasites pyrenaicus

Oggi nel bosco le foglie del farfaraccio vaniglione sono piccoli cuoricini verdi e ordinati. Ma non è sempre così, perché talvolta le foglie di questa pianta possono assumere dimensioni ragguardevoli. Il suo nome deriva dalla parola ‘petasos’ che in greco significava un cappello a larghe tese. Infatti le ampie foglie, spesse e molto impermeabili, si prestano a diventare copricapi di fortuna per offrire riparo dalla pioggia.  Questo è vero soprattutto per quel farfaraccio comune, Petasites hybridus, le cui foglie possono raggiungere gli 80 cm di larghezza.

Petasites albus

La pianta, molto diffusa nelle sue varie specie, cresce in gruppi e forma colonie. Le foglie compaiono dopo i fiori e crescono addossate le une alle altre tappezzando completamente il terreno, come in questo giardino polacco. Non sembra quasi che quei delicati fiorellini, che si aprono sulla sommità di un robusto gambo, ornato di un’altra sorta di foglioline (brattee) rossastre, appartengano alla  stessa pianta delle larghe foglie. L’ho incontrato  anche nella versione  bianca Petasites albus, più in alto sui monti dell’Appennino (vedi 14 aprile 2009), con capolini disposti in dense spighe ovali. Si dice che alcune specie di Petasites siano commestibili, ma tutte, anche le meno appetibili, contengono principi officinali ed erano utilizzate come rimedio per vari disturbi, dalla tosse all’insonnia. Come spesso accade però in tutte le piante medicinali, sono presenti anche componenti tossici, e in particolare alcaloidi dannosi per il fegato.

Forbicina invasiva

Bidens frondosa<br>Forbicina peduncolata

Bidens frondosa

Una volta c’era la forbicina comune, canapa acquatica, vero nome Bidens tripartita, una pianticella che ama l’umidità e il fango, appartiene alla famiglia della Asteraceae e ha capolini di fiori tubulosi circondati da una raggiera di brattee fogliacee pelose. Gli acheni (i minuscoli frutti) sono uncinati e si attaccano al pelo degli animali a scopo di facilitarne la diffusione. Da cui il nome italiano di ‘forbicina’ e quello, meno aggraziato, inglese di beggarticks, una specie di zecca dei mendicanti. Anche il nome scientifico si riferisce agli acheni “bidenti”.  C’era una volta e c’è ancora, a ben cercare. Ma molto molto più facilmente si incontra lei, l’americana, Bidens frondosa, forbicina peduncolata, che si distingue appunto per le foglie fornite di un lungo picciolo. Importata qualche secolo fa in qualche orto botanico, è velocemente sfuggita alla coltivazione e oggi viene additata come alloctona invasiva in almeno dodici regioni italiane, anche se in Liguria per il momento è solo naturalizzata.

Bidens frondosa<br> Forbicina peduncolata

Bidens frondosa

Secondo International Union for Conservation of Nature (IUCN), le alloctone invasive sono “specie aliene al territorio che si stabiliscono in un ecosistema o habitat naturale o seminaturale, diventando un agente di cambiamento e una minaccia per la diversità biologica autoctona”. Bidens frondosa è dunque una pianta pericolosa perché compete con aggressività con la flora indigena, grazie proprio alla formidabile capacità di disseminazione. L’astio profondo dei naturalisti per questa invasiva mi ricorda quello per l’ailanto ed effettivamente la rapacità con cui piante grandi e piccole conquistano il territorio ha qualche cosa di spietato. In realtà la loro colpa è solo di essere spudoratamente vincenti nella lotta per la vita.

Avevo già parlato di questa pianta in un vecchio post (28 ottobre 2009) e allora ero stata molto più gentile nei suoi confronti, tollerante e inclusiva. La vegetazione intorno a noi sta cambiando davvero rapidamente e, nel bene e nel male, è possibile che in poche decine di anni tutta la flora che ci circonda, per lo meno nelle zone più antropizzate, ci si presenti completamente mutata. Credo che se le nuove piante si integrassero in modo armonico nell’ambiente, sarebbe più facile accettarle; tuttavia quello che accade è un’occupazione rovinosa del suolo che finisce per impoverire la natura e rattristarla.

Forbicina sudamericana

Bidens subalternans – foglie

Forbicina sudamericanaBidens subalternans

Bidens subalternans – capolini

Ho incontrato di recente, sul bordo della strada, una nuova forbicina diversa da quelle che conoscevo. Credo che si tratti di Bidens subalternans, sudamericana. Non è ancora classificata come alloctona invasiva in Liguria, ma già naturalizzata e comincio a vederla dappertutto. Il nome specifico le viene dalla foglie, quasi alterne, ma come tutte le sue parenti, autoctone e alloctone, i frutti, denominati cipsele, presentano all’apice un coppia di reste uncinate, che costituiscono dei formidabili appigli per la disseminazione. Insomma, ecco un’altra, nuova forbicina alla riscossa.

Erba di San Pietro

Erba di San Pietro

Tanacetum balsamita

Il suo vero nome è Tanacetum balsamita, anche se è nota anche come Balsamita major. Come gli altri tanaceti è molto aromatica e ha fiori a capolino giallo oro, spogli perché non hanno ligule.  E’ un’antica pianta coltivata per le sue proprietà officinali e per l’aroma, forte e amaro, delle sue foglie, riscoperta recentemente sia dall’erboristeria che dalla culinaria. Chi la incontra una volta, non la dimentica.  L’ho provata nelle frittate e nelle torte di verdura, ed è ottima se usata con molta moderazione. Il gusto è deciso come la menta, ma più amaro, e l’odore è altrettanto acceso. Non è una pianta autoctona del nostro territorio, viene dall’Asia ed è un’archeofita casuale, cioè è diffusa in modo sporadico da molto tempo, e non si sa bene da quanto. Ha una storia antica e tanti nomi, oltre erba di San Pietro, erba amara, menta romana, erba della Bibbia e erba di Santa Maria. Poi la coltivazione e la cura hanno fatto il resto, così che anche oggi la pianta ha una certa diffusione nei giardini e negli orti. I fiori più belli, solari, li mette d’autunno, proprio quando il sole comincia ad impallidire.

Senecio rampicante

Senecio rampicante

Senecio angulatus

Mentre sfreccio a bordo del mio cavallo di latta, lungo la strada di casa, via Nasche poco prima del bivio per San Desiderio, mi incuriosiscono questi mazzi di corolle giallo brillante, che svettano oltre il muretto che limita la carreggiata, in mezzo alla grigia vegetazione di un gennaio troppo caldo e soleggiato. Non assomigliano per niente ai  fiori di mimosa che cominciano prepotentemente a sbocciare dappertutto. Che cos’è? Fermo l’auto, mi avvicino e d’improvviso capisco tutto. Il senecio rampicante (Senecio angulatus) è arrivato anche qui. Si abbarbica e infoltisce in mezzo agli sfioriti corbezzoli e fa finta di essere un albero anche lui. In realtà è un’infestante, alloctona invasiva in Liguria, e viene niente meno che dal Sudafrica.  Ma le piante non hanno paura delle distanze e hanno scritto la storia della terra e delle migrazioni con molta più accuratezza degli uomini.

Senecio rampicante

Senecio angulatus

Specie ormai tutt’altro che rara, il senecio rampicante ha fusti e foglie grassocci, come una succulenta, e fiori giallo paglierino che sbocciano in autunno avanzato. Lo avevo già incontrato diversi anni fa sulla passeggiata Anita Garibaldi, di Nervi, a metà estate, dove, ornato solo di sfatti soffioni, confondeva le sue foglie verdissime con quelle cuoriformi della più mediterranea salsapariglia nostrana (Smilax aspera).

Senecio rampicante

Senecio angulatus

Lo avevo riscoperto in piena fioritura alla fine dell’autunno coprire d’oro tutto il pendio sopra la scogliera, non lontano dalla schiuma rumoreggiante del mare non proprio tranquillo. Come ho scritto recentamente, il senecio è un genere dalle mille incarnazioni,  invadente per vocazione. Il senecio rampicante è stato introdotto in molti paesi come  ornamentale, ma suppongo che nessuno avesse previsto che questo africano potesse colonizzare con tale esuberanza la passeggiata di Nervi, e spingersi ancora più su fino a minacciare qualsiasi giardino e, secondo Wikipedia, presentarsi inselvatichito sulle Alpi marittime.

Articoli più o meno recenti su varie specie di senecio :
22 aprile 2021
4 gennaio 2019
9 giugno 2012
26 giugno 2011
12 dicembre 2010

Topinambur

Il topinambur (Helianthum tuberosus) è il fratello tuberoso del girasole (Helianthus annuus).

Topinambur

Helianthus tuberosus

Nonostante arrivi da terre lontane, e il nome abbia un suono davvero arcano, è una pianta sfacciatamente comune, che si è trovata molto bene dalle nostre parti ed è anche apprezzata in cucina. E’ slanciato ed esile, con lunghe foglie, e viene utilizzato anche per bordure decorative, o frangivento, più nei campi che nei giardini. I suoi tuberi sono commestibili e si preparano come le patate, di cui si dice possano rappresentare una degna alternativa; oppure un sostituto di fortuna, perchè se alla fine la patata ha avuto la meglio, qualche ragione ci sarà.
Proprio come le patate, viene dall’America, ma dal Nord, e precisamente dal Canada, e fu importato in Europa dai francesi nel 17° secolo. Poco tempo prima, erano arrivati alla corte di Francia alcuni esponenti di una tribù brasiliana dei Topinamba, che, si dice, avevano attirato molta attenzione. Così, sulla scia della popolarità dei brasiliani, queste piante del Nord furono battezzate dai commercianti con un nome con cui non avevano assolutamente niente a che fare. Quando diventarono famosi per le loro  qualità, i nomi volgari divennero molti, da rapa tedesca a girasole del Canada, oppure carciofo di Gerusalemme, ‘Jerusalem artichoke’ in inglese, perchè il loro sapore dolce e delicato ricorda vagamente quello del carciofo.

Topinambur

Helianthus tuberosus

Il topinambur si è trovato tanto bene dalle nostre parti che cresce dappertutto e in questa stagione i greti dei torrentacci sono sgargianti delle sue corolle gialle, un po’ più piccole di quelle del girasole, ritte in gruppi fitti sullo stelo sottile. Si è trovato tanto bene che a chi sceglie di coltivarlo si consiglia di fare attenzione a raccogliere tutti, ma proprio tutti i tuberi, per evitare di ritrovarsi un nuovo filare o campo di topinambur anche l’anno successivo.

Questo post riprende quello pubblicato sul vecchio blog il 4 ottobre 2008

Senecio in fiore

Senecio vulgaris

Senecio vulgaris
(inverno)

Le incarnazione della piante del genere Senecio, famiglia delle asteracee  sono innumerevoli.

Le forme più banali, con fiori disposti a capolino, con o senza ligule (cioè linguette esterne allungate), si incontrano nei campi e sui bordi delle strade, come il Senecio vulgaris, che fiorisce praticamente tutto l’anno, e anche in condizione proibitive, oppure neofite invasive come Senecio pterophorus, di lontana origine africana. Altre sono piante più vistose, come il Senecio grandifolius, con ampi fiori a forma di margherita gialla. In tutti quanti i frutti sono acheni (seme quasi nudo), provvisti di pappo (barbetta volatile), e disposti in piccoli soffioni compatti, bianchissimi, somiglianti cioè alla chioma canuta di un vecchio (latino senex, da cui senecio).

Appartengono a questo genere anche specie all’apparenza di piante grasse o succulente, che vengono più correttamente assegnate al genere Kleinia. Una di queste è Senecio rowleyanus (Kleinia rowleyana), originale piantina originaria del Sud Africa, detta anche senecio a collana o pianta del rosario. Ha foglie carnose, tonde come perle , appese a rami sottili, striscianti o pendenti, ben verdi nella bella stagione, giallo pallido d’inverno, collane di foglie, fitte e lussuosamente ricadenti come gioielli nel loro tempo migliore.

Senecio rowleyanus

Senecio rowleyanus

Senecio rowleyanus

Senecio rowleyanus

Quest’anno, nel calore della serra, vicino ad altre succulente che non si stancano mai di regalarmi fioriture, anche il mio senecio a collana ha deciso di fiorire. Le foglie non sono ancora rinverdite del tutto, ma ovunque sono sbocciati piccoli capolini di corolle bianche, la cui forma ricorda (colore a parte), quelli del Senecio galpinii oppure quelli del Senecio crassissimus, un altro suo singolare parente che ancora si sta riprendendo dall’inverno.
I tralci a collana della pianta del rosario (da non confondere con l’albero dei rosari, Melia azedarach) radicano facilmente e dovrebbe essere relativamente semplice moltiplicarla. Tuttavia la crescita è lenta e imprevedibile, anche se mi pare che nella mia serra abbia finalmente trovato un ambiente a lei congeniale.

Il mio giardino planetario

Taraxacum officinale

Taraxacum officinale

Racconta Gilles Clement,  noto architetto paesaggista che sarebbe poi diventato sincero ammiratore delle erbe vagabonde, che da ragazzo subiva la “tirannia del prato”.  Suo padre, che il prato lo aveva seminato, rullato, annaffiato e nutrito, pretendeva che il risultato fosse sempre perfettamente “inglese”.  Così il giovane Gilles, armato di sgorbia, si affannava a sradicare qualsiasi erba intrusa che rovinasse la precisa uniformità dei sottilissimi fili d’erba.  Tuttavia, la natura non pareva dargli alcuna soddisfazione.  Al contrario, alla prima pioggia lasciava che spuntassero “abominevoli specie dalle foglie villose, carnose e ben tappezzanti, che niente avevano a che fare con l’immagine sul pacchetto della semenza”. Tarassachi e verbaschi, loti e potentille, pratoline, romici e grespini, cornette e lunarie ritornavano più forti e spavalde di prima.

Giardino : Lunaria Taraxacum

Lunaria annua
Taraxacum officinale

Ho tentato un paio di volte a seminare un prato all’inglese, senza neppure troppa convinzione. Talvolta l’erba è cresciuta, se la primavera era abbastanza umida. Per disperdersi poi nella calura estiva, o soffocata da infestanti di varia provenienza. Il segreto del successo fu rivelato una volta da un gentiluomo britannico a un amico americano: “Il prato si semina e si annaffia; quando l’erba spunta e cresce,  si taglia e  si annaffia; l’erba cresce e si taglia; si annaffia, si taglia e si annaffia. E poi basta andare avanti così, per trecento anni.”
Si tratta di un tipo di prato abbastanza incompatibile con il clima mediterraneo, e comunque incompatibile con chiunque ami il giardino planetario.
Così nel mio giardino intrusi e imprevisti della primavera sono i benvenuti, anche se la cura dell’orto e un po’ di pulizia mi costringono mio malgrado a ridimensionarli costantemente.  Mi diverto a riconoscerli tutti e la sorpresa più bella è scoprirne qualcuno nuovo e osservarlo mentre cresce e si rinforza, cercando di indovinare di che si tratti. Mi è accaduto con il Geum urbanum, che ha ormai colonizzato il praticello ai piedi di un olivo. O i papaveri, Papaver rhoeas oppure Papaver dubium, che spuntano regolarmente spontanei ai bordi della cisterna.

Molto celebre e onnipresente è il tarassaco (gruppo del Taraxacum officinale), che ha molti nomi, da piscialetto per le sue supposte proprietà diuretiche, a girasole, essendo indiscutibilmente un cerchio di petali gialli.  Contrariamente a quanto molti pensano però non tutte le margherite di quella forma sono tarassachi, anzi, ne esistono  decine di generi e specie assai diverse, ovunque nei prati, ma anche sui cigli delle strade.  La buona notizia è che sono tutte quante mediamente commestibili, ovvero è piuttosto difficile avvelenarsi assaggiando foglie e fiori a forma di tarassaco (cerchiamo però di non confonderlo con il ranunculo).

Meno note come piante, ma certamente riconoscibili quando vanno in seme, sono le cosidette monete del papa (o medaglioni del vescovo). Ma prima di diventare monete, i fiori della Lunaria annua sono di un bel rosa acceso, a quattro petali come tutte le crucifere. E’ una pianta annuale che si rinsemina voracemente, diffusissima in questa stagione in ogni angolo verde (ne ho visto addirittura un cespo ai bordi della sopraelevata strada Aldo Moro).

Giardino : Viola odorata

Viola odorata
(con Taraxacum officinale)

Veronica persica

Veronica persica

La piccola veronica Occhi della Madonna (Veronica persica) si fa contemplare a lungo prima che mi rassegni a estriparla. Sicura comunque che tornerà. Come ritorneranno, più dense e rigogliose di prima le famose violette, messaggere della primavera (Viola odorata), pianticelle incredibilmente invasive e tenaci, che ovviamente si fanno perdonare quando riempiono di colore gli angoli più oscuri dell’inverno che se ne va.

Il centonchio comune, che si chiamava Anagallis arvensis, oggi Lysimachia arvensis (famiglia Primulaceae),  è un’erbetta infestante che fiorisce costante dalla primavera fino all’autunno, con microscopiche corolle di un fiammante rosso mattone. Visti da vicino, da molto vicino, i fiori sono appariscenti e figurerebbero senza dubbio fra specie ricercate come ornamento, se non fosse per le ridotte dimensioni (il diametro dei fiori arriva a malapena a un centimetro).

Anagallis arvensis

Anagallis arvensis (Lysimachia arvensis)

Anche la piantina è ridotta, con fusti striscianti e morbidi, che si strappano e sradicano con estrema facilità, ma con altrettanta facilità germogliano di nuovo. Una sua parente, il centonchio azzurro, Lysimachia foemina, gode di miglior fama, forse perchè è un po’ più rara ed ha petali azzurro turchini. Invece il centonchio comune, che cresce dappertutto, non merita molta considerazione. Si mimetizza con disinvoltura in mezzo alle insalate fra le quali è nata e cresciuta; ma è tossica e si dice possa causare intossicazioni alimentari. Io la trovo spessissimo in mezzo a qualsiasi cosa raccolga nell’orto. Non posso escludere di averla assaggiata per errore; sarà stata la modica quantità, non ricordo di aver avuto disturbi significativi. Sospetto che chi si è intossicato, piuttosto che dimenticarsi di toglierla dall’insalata, l’abbia scambiata per l’insalata.

Euphorbia peplus

Euphorbia peplus

Certamente velenose, o comunque moleste, sono le euforbie, una ricchissima famiglia di erbe molto particolari, che annovera al suo interno la celeberrima stella di Natale o poinsettia, oltre a gigantesche piante spinose, frequentemente confuse con le cactaceae.

Euphorbia helioscopia

Euphorbia helioscopia
(con Taraxacum officinale)

Nel mio giardino planetario cresce molta, anzi troppa, euforbia minore (Euphorbia peplus), sbrindellata e poco attraente. Ma a primavera sbocciano le infiorescenze verde giallo dell’euforbia calenzuola (Euphorbia helioscopia), assai più vivace e simpatica. Le euforbie contengono lattice irritante, ma anche sostanze medicamentose. Mai fidarsi delle euforbie, mai sottovalutarne le potenzialità.

Tante ancora potrei ricordarne,  sfacciate e graziose erbette da compagnia, discrete e tenaci, timide ed impudenti, mutanti con  le stagioni di cui scandiscono il tempo.  Ogni anno muoiono e rinascono, sempre uguali e sempre diverse,  perchè nel prato la permanenza non esiste,  ma soltanto il continuo divenire.

Stellaria media
Sonchus asper
Malva sylvestris
Potentilla reptans

Indomito sparviere

Sparviere Hieracium amplexicaule

Hieracium amplexicaule

Anche se la neve è caduta copiosa sui monti, qui verso il mare la temperatura non è mai stata troppo rigida e la pioggia, pioggia intensa, tenace, insistente, l’ha fatta da padrona per molti e molti giorni. Continua.  Appena il tempo di una breve passeggiata lungo la strada fra frazioni e santuari, poi la pioggia riprende, inesorabile. Fra le piante resilienti, quelle che non dovrebbero essere fiorite, ma lo sono, e con il nome preso in prestito da una parola greca che significa falco, o appunto sparviere, questi sbrindellati fiori giallini, che infestano prati e forre, si conquistano un certo rispetto. La storia è antica, la si fa risalire addirittura al naturalista romano Gaio Plinio Secondo (23 – 79), più noto per essere stato testimone oculare e vittima della distruzione di Pompei.

Sparviere Hieracium amplexicaule

Hieracium amplexicaule

Secondo questo studioso, i falchi sparvieri si cibano di questi fiori per rafforzare la vista. Di questa leggenda è rimasto assai poco, solo il nome di un fiore. Inutile cercare lo sparviere nei trattati di fitoterapia, o nei libriccini che descrivono le vere o presunte proprietà salutari delle piante. Non c’è genere più ignorato di questo, tanto frequente ai bordi delle strade e dei viottoli, tanto assente dalle citazioni botaniche, se non quando proprio non se ne può fare a meno. Un fiore negletto e ordinario, quasi disprezzabile, fiori visti, ma mai guardati. Io mi fermo e lo guardo, perchè non dovrebbe essere fiorito, a gennaio, sotto il diluvio.

Hieracium è un genere sterminato, distinto nel mondo in 5 sottogeneri, e in cui nel sottogenere Hieracium euro-asiatico e nordamericano, si contano almeno 6000 specie, e quindi molto difficile da classificare. L’ho già ricordato in questo blog, nuovo o vecchio, citandolo, non saprei dire se sempre in modo appropriato, nei giorni  29 ottobre 2009 e 29 marzo 2011