Una spalliera di catananche

Catananche

Catananche caerulea 

Lungo via San Colombano, nei pressi della storica Osteria del Giallo, transitano molte automobili in queste mattine di giugno. E’ una via periferica, defilata, ripida e tortuosa, che tuttavia viene scelta sempre più spesso come deviazione vantaggiosa al traffico congestionato del fondovalle. Una bella strada avvolta dal bosco, costeggiata di cespugli fioriti e prati di colori cangianti. Ma chi guida deve guardare avanti, ha altro di cui occuparsi che dei fiori, e così temo proprio che perderà l’occasione di ammirare, nella sua breve e intensa stagione, uno dei fiori più belli dei nostri prati.

La Catananche caerulea è un’asteracea rara, perchè endemica di un territorio abbastanza piccolo fra Liguria e Piemonte. E’ strano, per me questa margherita azzurra di colore più acceso, ma in fondo abbastanza simile a quello della cicoria, con le ligule sfrangiate, una macchia scura in centro e l’involucro di brattee scabrose e argentee che la racchiude, è un fiore assai comune, che ha popolato tutte le estati della mia infanzia. Già ne ho parlato diverse volte (26 giugno 2008 e 5 giugno 2011, a cui rimando per altre immagini), ma sono sempre lietamente stupita di ritrovarla, puntuale con la stagione calda, a spalancare le sue corolle nel mattino, lungo la strada di casa.  La fotografo ancora, dovesse mai svanire nel nulla.

Si chiama cupidone azzurro, o madre d’amore,  in inglese Cupid’s dart, freccia di Cupido, ed era un ingrediente fondamentale dei filtri d’amore, da cui appunto il nome, dal greco καταναγκάζω che significa forzare, avvincere.  La sua grazia e il suo colore intenso e screziato ne hanno fatto una ricercata specie da giardino.  Nel giardino libero della pubblica strada, la catananche è per tutti quelli che la sanno guardare e apprezzare.

Ma non cercatela dopo mezzogiorno,  a quell’ora la catananche già riposa.

Margherita delle Canarie

Margherita delle Canarie

Argyranthemum frutescens

La margherita delle Canarie,  Argyranthemum frutescens,  si è ormai naturalizzata in Italia, secondo questo sito in Liguria e tutto il sud , isole comprese, mentre secondo Actaplantarum è alloctona casuale in Toscana, Sardegna e Abruzzo.
E’ una specie ornamentale importante, diffusa un po’  in tutto il mondo, e conosciuta in glese come “Paris daisy”, che vuol dire margherita di Parigi, oppure come Marguerite, forse il nome comune che le viene dato alle Canarie.  La più comune ha i classici fiori bianchi, ma esistono altre varietà a fiori rosa o gialli.

Se si è diffusa in Liguria, allo stato selvatico intendo, lo deve certamente alla coltivazione intensiva nei vivai della riviera di Ponente, dove ne vengono cresciuti decine di milioni di esemplari all’anno per esportazione.

Chrysocephalum, pianta da tetti

Chrysocephalum apiculatum

Chrysocephalum apiculatum

Semprevivo oppure oro del deserto sono alcuni dei nomi con cui, prevalentemente in inglese, è conosciuta quest’asteracea australiana che ha conquistato anche i vivai del nostro continente. Pianta di vivace e caldo colore e agevolmente resistente alla penuria di acqua, è protagonista dei giardini pensili urbani.  Non è facile adattare piante e fiori alle condizioni proibitive del cemento e delle assolate intemperie delle nuove estati da cambiamenti climatici.  Soprattutto è difficile perchè vogliamo che queste piante siano sempre attraenti, un po’ come bambole di porcellana sballottate nel traffico cittadino.
Il Chrysocephalum, il cui nome non brilla in  fantasia dato che significa semplicemente ‘testa dorata’, pare abbia prestazioni eccellenti come pianta da tetti metropolitani più o meno ripidi(1).
Incontrata di nuovo all’Euroflora 2019 di Nervi (Genova), è solare e la ammiro. Senza amarla troppo, perchè il mio cuore va alle piante selvagge e vagabonde,  senza padroni e senza gloria. La ammiro e  non la invidio, come una cortigiana profumatamente ricompensata per rimanere sempre lucida e perfetta e sempre estranea a se stessa.

(1)Razzaghmanesh et al. Developing resilient green roofs in a dry climate in Science of The Total Environment (2014) 490:579-589 https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2014.05.040

Radichella

Crepis leontodontoides - Radichella italica

Crepis leontodontoides
Radichella dente di leone

Nell’universo delle margherite gialle, un’infinità di specie molto resistenti e prolifiche che ci circondano in ogni stagione, un posto di tutto rispetto lo occupano le Crepis, volgarmente dette radichelle. Questa piccola pianticella montana con le foglie seghettate viene detta radichella italica, ma il suo vero nome è Crepis leontodontoides, radichella dente di leone, proprio per la forma delle foglie.

Le piante del genere Crepis sono quasi tutte commestibili, crude come insalata o lessate, simili a tarassaco e cicoria. Siccome occorre raccoglierle prima della fioritura, bisogna riconoscere le rosette, un’abilità ormai alquanto rara. Però la maggior parte delle asteracee e brassicacee a cui la sua rosetta assomiglia sono commestibili o comunque non tossiche, quindi il rischio di scambiare la radichella per qualche specie tossica è molto bassa. Invece molto importante è raccogliere le foglie giovani e fresche, e in quantità, perchè la resa delle erbe selvatiche non è proprio la stessa di quelle che compriamo al supermercato.

Questo fiorellino cresceva su un sentiero di mezza montagna, sulle inerpicate colline genovesi, su un  crinale aperto e battuto dal vento, fra rade roverelle, come quella che le aveva abbandonato una foglia accanto. Non il luogo più adatto per andar per insalate,  ma piuttosto per ammirare le corolle dorate nel sole primaverile.

 

Cardo mariano

Cardo mariano - Silybum marianum

Silybum marianum
Cardo mariano

Quest’erbaccia che cresce selvatica nel greto del torrente Bisagno è una pianta medicinale usata da migliaia di anni come rimedio per le affezioni più diverse.  E’ un cardo molto pungente, con grandi foglie verde scuro brillante, solcate da profonde venature bianche e ornate di spine robuste.  Il suo nome scientifico, Silybum, deriva dal grevo silibon, un termine usato per indicare appunto i cardi, mentre  l’epiteto specifico marianum è legato a una leggenda, che vorrebbe le foglie screziate di bianco perchè macchiate dal latte della Vergine durante la fuga in Egitto.  Il nome volgare, cardo mariano, nuovamente ricorda la Madonna, mentre il nome comune inglese è “milk thistle”, cardo del latte, oppure “wild artichoke”, carciofo selvatico, perchè al carciofo assomiglia davvero.

L’intervento della Madonna forse non si è limitato a colorare le foglie, ma ha concesso a questa pianta qualità eccezionali dal punto di vista farmacologico, riconosciute anche dalla moderna medicina scientifica. Dai suoi frutti, i piccoli acheni che sono contenuti nell’infiorescenza a capolino globoso, si ricava un estratto, detto silmarina, che agisce come antiossidante riducendo la produzione di radicali liberi e l’ossidazione lipidica ed è anche capace di bloccare il legame di tossine ai recettori presenti sulle membrane degli epatociti, le cellule del fegato.  La silmarina è un efficace epatoprotettore, utile nelle cirrosi, nelle epatiti virali acute e croniche, nelle malattie dovute all’abuso di alcool e a sostanze tossiche, persino come antidoto nel terribile avvelenamento causato dal fungo Amanita phalloide.

Cardo mariano - Silybum marianum

Silybum marianum

E’ singolare incontrare questa pianta anche sotto casa, in mezzo all’immondizia (nella foto in alto a sinistra contornata da non meglio identificati broccoletti),  mentre in passato  l’avevo vista soltanto in Sardegna e pensavo che in Liguria fosse rara. Forse lo è, ma le piante vanno e vengono e come vagabonde bisogna accettarle. Ci vuole molto poco a far viaggiare le piante e delle loro peregrinazioni, talvolta ovvie e talvolta impreviste, si sono occupati molto i botanici.  Leggo che il cardo mariano è specie mediterranea e tipicamente europea, ma coltivata come specie alimentare da moltissimi secoli,  fu portata in America dai primi coloni; così che oggi si è naturalizzata ed è diventata infestante anche laggiù.

Euryops, l’africana per tutte le stagioni

Cespuglio  di Euryops in fiore
dietro la chiesa di San Cosimo di Struppa

Si trova un po’  dappertutto, in città e fuori, quest’arbusto che viene dal sud Africa, e si fa notare parecchio, come una macchia di sole brillante nel grigio dell’inverno.  L’ho incontrata a Lorsica, in val Fontanabuona, sul margine della strada, una cascata abbondante coperta di fiori.  E poi in città, quasi ovunque, in vasi e spalliere.

Euryops

Euryops a Lorsica (Val Fontanabuona)

Euryops

Euryops pectinatus

La flora del Sud Africa, come quella dell’Australia, è entrata prepotentemente nell’arredo urbano e non manca di regalare nuove scoperte.  Queste margherite gialle un tempo le avrei chiamate  ‘settembrine’, e sono assai simili a certe margherite gialle autoctone o comunque naturalizzate, come Glebionis coronaria (in precedenza chiamata Chrysanthemum coronarium, vedi 10 aprile 2010) o Buphthalmum (29 novembre 2009), che tuttavia ha foglie lanceolate e non frastagliate. Ma altro che ‘settembrina’,  anche se quasi tutte le margherite gialle sono ben ben testarde,  nessuna ha l’impudenza di fiorire così a lungo e con tale tenacia.

Chi prospera e chi resiste

Chi prospera e chi resiste - Calicanto d'inverno

Chimonanthus fragrans

Chi prospera e chi resiste - Alisso

Lobularia maritima

 

L’anno nuovo è cominciato con scorci di limpido sole e aria tiepida, solo a tratti disturbata da folate di vento selvaggio. Il giardino è nitido e spoglio, anche se a ben vedere sono molte le piante che resistono o addirittura mostrano il meglio di sè proprio in questo periodo.

Non soltanto la Camellia hiemalis che ho mostrato ieri, ma anche il calicanto d’inverno (Chimonanthus fragrans)  si è riempito di fiori.

Sull’aiuola più bassa, dove il Solanum non ha ancora smesso di fiorire,  scopro un minuscolo cuscinetto di alisso (Lobularia maritima), coperto di corolle violette, dal dolcissimo odore di miele.

La pianta capostipite di tutti i lamponi (Rubus idaeus, 1 agosto 2008) del giardino, come ogni anziana patriarca che si rispetti, fiorisce ormai assai poco. Ma proprio in questi giorni ha deciso di maturare una drupa, anzi l’agglomerato di drupe detto drupecetum. Così rosso e vulnerabile, probabilmente duro e insapore, certamente  nessuno oserà strapparglielo.

Chi prospera e chi resiste - Rubus idaeus

Rubus idaeus

Chi prospera e chi resiste- Grespino

Sonchus oleraceus

E che dire del grespino (Sonchus oleraceus, 19 febbraio 2009), che cresce nelle crepe del selciato, fra il cemento e le mattonelle, e si alza dritto e deciso, sotto lo sguardo sornione della gatta Patty?  Si adorna sempre, in qualsiasi stagione, di capolini giallo sole, densi, solidi, grassi.  Parafrasando Betty Smith e il suo albero del cielo (Ailanthus altissima), potremmo dire che  “li si direbbe bellissimi, se non fosse che ce ne sono troppi”(1).

Io, invece, osservo attenta e preoccupata quanto è rimasto della piantina di Filipendula ulmaria che spero tanto, ma proprio tanto resisterà all’inverno, e poi si troverà bene dove l’ho sistemata, e crescerà prospera e felice. Spero.

Chi prospera e chi resiste - Filipendula ulmaria

Filipendula ulmaria

(1)Betty Smith – Un albero cresce a Brooklin, New York 1947

Senecio galpinii

Senecio galpinii

Senecio galpinii

 

I fiori di questa stagione non abbondano, anche se non sono così rari come si vorrebbe pensare. A volte però occorre cercare qualche pianticella singolare, di origine oscura, per allietare di colore una stagione che l’iconografia tradizionale vuole soprattutto bianca.

Questa pianta non è una crassulacea, anche se potrebbe davvero sembrarla, con fiori di forma e colore somiglianti a quelli della stupenda Crassula falcata.  Ma quando i fiori appassiscono, la pianta si fa riconoscere. I fiori diventano ciuffi quasi sferici di peli bianchi, i pappi dei semi, così simili alla testa di un anziano, aspetto questo che caratterizza tutte le specie del genere Senecio (dal latino sénex vecchio).  Notevole è il contrasto fra il grigio azzurro delle foglie carnosette e la tinta accesa dei fiori.

Per trovare dei fiori in questa stagione bisogna andare a cercarli lontano. Non so con certezza di dove sia originario questo senecio,  ma è abbastanza simile al S. cephalophorus, che è originario del Sudafrica, precisamente della provincia del Capo, come mi informa il forum Cactofili, che credo fonte abbastanza affidabile.  Non saprei neppure definire bene la differenza fra i due,  S. cephalophorus e S. galpinii, anche se dalle immagini  il secondo mi pare più somigliante.  Entrambe le piante sono talvolta classificate nel genere Kleinia, nome dedicato al prussiano Jacob Theodor Klein (Plinius Gedanensium, 1685-1759) che fu giurista, storico, zoologo, botanico, matematico e diplomatico, e ammirato da Linneo.

Assenzio, un’artemisia come tante

Assenzio

Artemisia absinthium

L’assenzio selvatico (Artemisia absinthium) è una pianta dalle innumerevoli virtù officinali. Anche se il nome richiama soprattutto quello del liquore, stupefacente bevanda, la fata verde dei poeti maledetti, l’assenzio è prima di tutto una pianta medicamentosa. Il nome dialettale in genovese è mêgo, che significa medico, oppure magiô, cioè mago, guaritore. Non c’è nulla che l’assenzio non curi, dai calcoli biliari alle contusioni, dai vermi ai reumatismi, l’inappetenza e la stitichezza, l’ipertensione e la febbre. Naturalmente occorre sapere come e quanto utilizzarne. Per l’ipertensione un infuso di foglie molto diluito o decotto di foglie e fiori, per contrastare il senso di vomito decotto per 5 minuti nella dose di un bicchiere al mattino e uno la sera, contro le febbri malariche, occorre un decotto nel vino, da assumere filtrato. Perchè l’assenzio contiene tujone, sostanza tossica, ad azione epilettogenica, che per uso prolungato provoca degenerazione irreversibile delle cellule cerebrali. Dottor Jeckill e mister Hyde, il medico guaritore si trasforma in avvelenatore. Ma questo, che piaccia o no, è principio basilare di tutta la fitoterapia, e anche della farmacologia intera.

Artemisia verlotiorum

Artemisia verlotiorum

L’assenzio non è che una delle tante artemisie che popolano i prati. La più comune è Artemisia vulgaris, usata per alleviare i dolori del parto, ma anche come abortivo. L’artemisia comune è simile come una goccia d’acqua a un’altra artemisia, esotica invasiva, Artemisia verlotiorum, nome che gli assegnò il botanico Lamotte per ricordare i due fratelli Verlot, botanici di Grenoble, che l’avevano studiata. Questo tipo di artemisia si è prepotentemente insediata nei campi e ai margini delle strade dove prima cresceva la A.vulgaris,ma nel mese di agosto si può facilmente distinguere perchè non porta ancora i fiori, che sono già abbondanti sulla A.vulgaris. Le foglie delle due specie sono leggermente diverse e la neofita è meno aromatica. Essendo una delle ultime arrivate, non se ne conoscono utilizzi curativi, ma soltanto come arotimatizzante di liquori.

Delle varie artemisie ho già parlato in precedenza, 27 luglio 2008
Artemisia campestris
Artemisia canforata

Tussilago, tussilagine o farfara piede d’asino

Tussilago farfara

Tussilago farfara

Il nome, Tussilago, volgarmente tussilagine, è già un programma. Si capisce subito che si tratta di un’altra erba della tossa, quelle piante che la medicina tradizionale, ma anche la moderna fitoterapia, impiegano per le affezioni respiratorie. Questa pianta presenta una particolarità, che tuttavia non è così straordinaria. I fiori, bei capolini gialli all’apice di fusti squamosi, sbocciano all’inizio della primavera e precedono le foglie di parecchie settimane. Forse a ragione di questo bizzarro comportamento, i fiori mi erano sempre sfuggiti e facilmente confondevo le grandi foglie a forma di cuore, lanuginose sulla pagina inferiore, con quelle di altre asteracee, del genere Petasites. La tussilagine è pianta in realtà assai comune, e molto conosciuta, anche con l’antico nomignolo “filius antepatrem”, dovuto appunto all’apparizione tardiva delle foglie, oppure con nomi dialettali che significano piede d’asino, a causa della forma degli steli. Il suo comportamento non è, dicevo, poi tanto straordinario, esistono molte altre piante che fioriscono prima di mettere le foglie, per esempio moltissimi alberi, tutti i pruni da frutto, mandorlo, ciliegio, albicocco, pesco e via dicendo, e alberi grandi come i noci e noccioli, ma anche arbusti come la ginestra maggiore (Spartium junceum, 27 maggio 2008).  Anche se le foglie sono in ritardo, le virtù officinali della pianta si ritrovano già nei capolini, da cogliere quando ancora semichiusi perchè se maturano in soffioni, come può accadere anche durante l’essiccamento, perdono le sostanze terapeutiche. Come spiega con precisione Bruna Bianca Accame (in ‘Piante di casa nostra’, De Ferrari  editore, 2001), per l’uso officinale i fiori vanno sempre raccolti ancora in boccio. Sia i fiori che le foglie hanno altri molteplici utilizzi nella medicina popolare, dalla cura della distorsioni a quella della crosta lattea, fino ad applicazioni cosmetiche per prevenire le rughe.

La tussillagine cresce rigogliosa su suoli argillosi ed è per questo considerata infestante dei coltivi. Ma essendo una pianta perenne, questa sua caratteristica può anche essere utilizzata per creare coperture dove non cresce quasi nulla, o dove si vuole evitare la crescita selvaggia di altre erbe infestanti. Con il vantaggio che all’inizio della primavera il tappeto si coprirà di capolini gialli. La fioritura è molto precoce. Nella foto di questa pagina l’ho incontrata nei primi giorni di aprile in provincia di Alessandria, nel comune di Costa Vescovato, presso la cooperativa agricola Valli Unite.