Cerco di mettere un po’ d’ordine nella giungla delle asteracee gialle. Simile all’aspraggine già pubblicata, quest’erba si chiama anche lattajola in ragione del lattice amaro (da cui il nome scientifico di Picris, che significa amaro) e deve il nome specifico alla somiglianza con lo sparviere, Hieracium 29 ottobre 2009, altro genere di asteracee a fiori gialli di non semplice catalogazione. Cresce in abbondanza nel mio giardino e nei prati vicini, accanto all’altra già descritta (e che però ha recentemente cambiato nome da Picris a Helminthotheca), e a lei certo appartiene la rosetta di foglie pubblicata in marzo. Le foglie fresche sono commestibili e venivano applicate sulle piccole ferite per tamponare il sangue.
Il fiore non è ancora del tutto sbocciato, spesso a piena fioritura le ligule più esterne mostrano striature rossastre all’esterno. I fiori si presentano in infiorescenze racemose e i capolini sono racchiusi in un involucro con caratteristiche squame patenti.
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Cosmea
Una pianta molto comune nei giardini, annuale a fioritura tardiva, è una specie di margherita che viene dal Messico e può avere fiori bianchi, rosa, opure anche rossi o gialli. Scelta rigorosamente candida, qui spunta con le sue foglie sottili, quasi piumose, da un tappeto di impatiens rosa carico. Un accostamento certo ricercato da parte dei giardinieri di palazzo della Venaria Reale.
Le aiuole sono recintate da griglie metalliche alte circa 40 cm, che, come indicato nelle targhe esplicative, costituiscono un rimedio contro lepri, minilepri e conigli selvatici che popolano il giardino e saltano con grande facilità nelle aiuole, danneggiando i fiori messi a dimora.
Echinacea
Pianta di origine americana dalle grandi virtù, la sua radice contiene molti principi attivi medicamentosi. Era usata dai pellerossa del Nord America per curare i morsi di serpente e le piaghe e è stata una delle piante più usate dala medicina degli Stati Uniti del XIX secolo. Ha proprietà immunostimolanti, antibatteriche e antivirali e praticamente nessuna tossicità o effetto secondario. Risulta utile nella cura del raffreddore come in quella delle infezioni orali e, insieme al propoli, dell’herpes.
Per fortuna la radice va raccolta dopo 4 anni di coltivazione, così nel frattempo si può godere a lungo la bellezza della strordinaria e singolare fioritura.
Fotografata nel giardino della Venaria Reale, Torino
Cavolaccio verde
Assomiglia all’Eupatorium (4 settembre 2008), ma anche ai Petasites (14 aprile 2009), e come questi ultimi si fa chiamare volgarmente cavolaccio, un nome che non le rende giustizia, nè le si addice, essendo pianta mediamente velenosa. Un’asteracea quindi, e neppure tanto pregiata, anche se le sue infiorescenze variopinte, dal rosa al rosso, al viola pallido al bianco, fanno macchia di colore nel bosco ombroso e umido di mezza estate, e le sue foglie lucide e larghe sono abbastanza belle.
Una delle ultime fioriture di luglio, presso le sorgenti del torrente Aveto, al passo della Scoglina.
Lattuga montana
Con l’esile, sgargiante corolla reclinata verso il basso (il suo nome deriva da ‘prenes’ che significa appunto reclinato), le lunghe foglie abbracciate al fusto slanciato (può raggiungere altezze ragguardevoli, fino a un metro e mezzo), questa pianta è un piccolo miracolo perchè cresce all’ombra di grandi alberi ombrosi, davvero non un posto da fiori. Cresce in media alta quota, sotto i faggi, ed è di un faggio la liscia radice che si intravede nello sfondo.
Aspraggine
Fra le erbette di prato, durette ed amarognole, da consumare fresche e giovani in insalata o cotte nelle minestre e nel ripieno delle torte salate, sempre compaiono le aspraggini (nome scientifico Picris che significa proprio amaro) che già dal nome lasciano intendere che tanto dolci e tenere non sono. Questa pianta si chiamava Picris echioides, ma è stata più recentemente assegnata a un genere diverso, Helminthotheca, ma sempre aspraggine resta. Ha bei capolini giallo brillante e foglie molto pelose. Ma sono le squame esterne al capolino, irte e sporgenti, discostate da quelle interne che sono lineari, che rendono questo fiore facilmente riconoscibile. Un altro piccolo tassello per imparare a riconoscere nella giungla delle margherite gialle, tutte splendenti e somiglianti, tutte spavalde, ma tutte diverse. Cresce con voluttà nel mio prato, fra l’assenzio (coltivato, vedi 27 luglio 2008) e la lattuga saligna (spontanea, vedi 10 settembre 2009).
Margherita africana
Di certo c’è che viene dall’Africa del Sud e che è una margherita molto bella e assai generosa. Si chiama anche osteospermum eklonis ‘pink’, come c’è scritto sull’etichetta. Le notizie che trovo in rete sono invece vagamente contrastanti (ma si sa, internet non è un’enciclopedia). Sembra che dimorphoteca sia una margherita annuale con semi fertili, di norma gialla, e osteospermum una pianta perenne, ma sterile. Però sembra anche che dimorphoteca e osteospermum siano praticamente sinonimi. La mia pianta fiorisce copiosamente, ma non ho ancora provveduto a raccogliere i semi. Se è perenne o annuale lo sapremo a tempo debito. Per il momento me la godo come è, solare e senza pretese. Un vero carattere africano.
Senecione provenzale
Il genere Senecio è così vasto e articolato che talvolta se ne invoca una riorganizzazione e più razionale suddivisione. Questo è affare dei botanici, a cui non è giusto manchi il lavoro. Per noi è già impresa non da poco riuscire a rammentare tutte le diverse sembianze che può assumere questa asteracea che si presenta in tutte le zone del globo con forme ora arborescenti, ora rampicanti, e poi arbustive, erbacee e succulente. Questa specie, soprannominata senecione provenzale, una delle tante margherite giallo oro che crescono sulle radure delle nostre colline, è frequente nella zona di Praglia che spesso visito alla ricerca di fiori. Una curiosa caratteristica che ne permette il riconoscimento è la presenza sull’involucro (la base del capolino) di due ordini di squame, interne ed esterne, con le esterne decisamente più corte.
Altri seneci presenti nel blog:
senecione di Fuchs
Senecio fuchsii – 6 agosto 2008
senecio comune
Senecio vulgaris, 8 febbraio 2009
cineraria
Senecio cineraria, 14 maggio 2009
senecio a collana
Senecio rowleyanus – 16 novembre 2009
senecio rampicante
Senecio angulatus – 9 dicembre 2009;
senecio a foglie grandi
Senecio grandifolius – 12 dicembre 2010
Lattuga
Parliamo ancora di lattughe, piante che sono entrate nella vita dell’uomo da tempi veramente immemorabili. Questa possente pianta di lattuga velenosa cresceva alta sul muro sotto casa mia, lontano da mani incaute, altezzosa e solitaria. Ho aspettato che fiorisse e poi l’ho tagliata alla base per estirparla, ma anche per osservarla meglio. Le lattughe selvatiche sono piante molto comuni. Nel mio giardino ce n’è almeno tre specie, la lattuga saligna (10 settembre 2009), con i piccoli fiori bianco panna, la lattuga selvatica o serriola, che non è ancora fiorita, e lei, la temuta lattuga velenosa. Dico temuta perchè il mio ‘guru’ Primo Boni(1) è molto accurato nel mettere in guardia i raccoglitori inaccorti che possono confonderla con la lattuga serriola. .
In realtà, il lattice della lattuga velenosa contiene le stesse sostanze antispasmodiche e calmanti delle altre lattughe, ma in concentrazione molto più alta e perciò, come accade per qualsiasi medicina assunta a dosi elevate, può causare effetti collaterali, anche gravi. Il lattice di questa lattuga provoca disturbi intestinali con tachicardia e vertigine, e in quantità rilevanti può essere fatale. Per riconoscerla, ecco alcune istruzioni. La differenza più evidente da adulta, rispetto alla specie commestibile, è la posizione delle foglie sullo stelo, poste tutte diritte, a lamina orizzontale, di forma bislungo ovata, con solo due o tre roncinature grossolanamente abbozzate, assai spinulose sulla costa mediana e sui denti marginali, se recise emettono un lattice bianco-giallastro. I fiori, invece, sono abbastanza simili, piccole margheritine giallo pallido raccolte in gruppi, un po’ disordinate .
Le foglie della lattuga commestibile, lactuca serriola (foto sotto, aspettando i fiori…), invece, sono sempre contorte e quindi con la pagina superiore verticale e con più roncinatura alquanto accentuate. A causa della sua curiosa tendenza a girare le foglie, disponendole perpendicolari al suolo, seguendo il corso del sole nel cielo, questa pianta viene chiamata erba bussola.
(1)Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche – Ed. Paoline, 1977
Lattuga rupestre
Questa lattuga vive sulle rupi e nei luoghi sassosi fino a 1700 metri ed ha fiori blu violaceo. Ha foglie inferiori profondamente incise, in lobi leggermente ovali oppure stretti ed acuti, privi di peli.
Come altre specie di questo genere, è pianta commestibile e anche prelibata secondo certa tradizione. Le diverse razze coltivate di lattuga, come la ‘romana’, la ‘cappuccina’ ed altre sono tutte tratte dalle specie selvatiche originali, una selezione frutto di secolare pazienza e competenza. Non è dato però sapere nè l’epoca nè il luogo in cui per la prima volta vennero individuate le caratteristiche preziose ed utili, ma aberranti rispetto alla struttura morfologica tipica delle lattughe, che la fecero diventare uno dei vegetali più ricercati e consumati.
Oltre all’uso alimentare, il lattice delle lattughe contiene molte sostanze attive che hanno effetto calmante nell’eccitazione e nella tosse spasmodica, tanto da proporne l’uso come sostituto dell’oppio, senza i pesanti effetti collaterali.