Pepe rosa brasiliano

Pepe rosa - Schinus terebinthifolia

Pepe rosa – Aroeira
Schinus terebinthifolia

 

L’albero del falso pepe o pepe rosa (il pepe vero, quello verde e nero, lo trovate qui) si chiama Schinus, è della famiglia delle Anacardiaceae e viene dall’America. Fra le specie più comuni di questo genere c’è Schinus molle (vedi 13 settembre 2009), che si è diffuso parecchio anche sulle sponde del Mediterraneo, almeno come specie ornamentale e si incontra facilmente nelle località italiane della costa. Un’altra specie, molto simile, ma con le foglie incredibilmente simili a quelle del terebinto (vedi 14 ottobre 2008) si chiama appunto Schinus terebinthifolia e l’ho visto soltanto in Brasile. In America del Nord, ma anche in Australia e Sud Africa, quest’albero del pepe brasiliano è considerato una specie invasiva e la sua diffusione è combattuta per legge in Florida e in Texas, nella provincia del KwaZulu-Natal in Sud Africa e in diversi stati dell’Australia. Vengono forniti precisi protocolli con gli erbicidi più idonei per sterminarlo (di cui uno manco a dirlo è il famigerato glifosato).

In Brasile si chiama aroeira e i suoi semi rosati sono un succedaneo del pepe. Inoltre, in contrasto con i persecutori del Nord, questa pianta gode di alta considerazione per il suo utilizzo nella medicina tradizionale descritto anche nel trattato del 1648 Historia Naturalis Brasiliae, opera del naturalista olandese Willem Piso.

aroeira - pepe rosa

Pepe rosa – Aroeira
Schinus terebinthifolia

Il mio amico Eugenio, architetto bahiano che vive da 10 anni nella Vale do Capão, Chapada Diamantina, mi raccontò come un contadino del luogo aveva curato una ferita della figlia con un cataplasma di bacche di aroeira, e di come la ferita si fosse rimarginata in un tempo magicamente breve.  L’aroeira viene inoltre indicata come rimedio per l’artrite, la febbre e i reumatismi. Le sue proprietà antiseptiche e antinfiammatorie le derivano dal potere antimicrobico che è dimostrato anche in vari studi. Per esempio, ricercatori della Georgia e dell’Iowa ne hanno mostrato l’efficacia contro batteri resistenti agli antibiotici(1), mentre un’altra ricerca, brasiliana questa volta, mostra come l’olio uccida le larve di Stegomyia aegypti, la zanzare che diffonde la febbre virale dengue(2). Ecco quindi che per alcuni il pepe rosa brasiliano è un’invasiva da sopprimere, un erbaccia, e per altri è uno scrigno di rimedi essenziali. Forse basta che cresca nel suo ambiente, e non in altri. Dobbiamo augurarci o no che prima o poi invada l’Europa mediterranea?

(1)Sci Rep. 2017 7:42275. doi: 10.1038/srep42275
(2)Parasit Vectors. 2015 8:136 doi: 10.1186/s13071-015-0746-0

Cliccare sulle immagine per vederle in dimensione reale in un’altra pagina

Bauhinia variegata

Bauhinia variegata

Bauhinia variegata

 

Dovevo andare in Brasile, il loro ambiente ideale, per riuscire finalmente a vedere e godere dei fiori della bauhinia, un’albero meraviglioso, detto anche albero delle orchidee brasiliane , o più volgarmente Pata-de-vaca, zampa di mucca, per la forma curiosa, bilobata delle sue foglie.  Originaria dell’Asia, si è diffuso talmente in America latina da diventare un protagonista della flora ornamentale brasiliana.

Citando il botanico Enrico Banfi : “Ci si aspetta sempre, chissà perché, che al nostro arrivo in qualsiasi terra tropicale ci si parino innanzi splendidi alberi, arbusti, erbe, patrimonio esclusivo o quanto meno indigeno di quell’area geografica, mentre nel 90% dei casi si tratta di entità alloctone che ormai globalizzano le flore dei climi caldi, (…) una vegetazione antropogenica formata da piante pantropicalizzate.”

Bauhinia forficata

Bauhinia forficata

Mi piace scoprire l’origine delle piante, adoro le piante tropicali e non mi preoccupa che abbiano colonizzato tutto il mondo. In un mio precedente post, in data 9 novembre 2009, che riprendo un pochino oggi, ne avevo mostrato una specie (qui sotto) fotografato all’orto botanico di Lucca e l’avevo addirittura chiamato “albero brasiliano”, perchè quella era certo la provenienza che risultava dalla sua scheda.  Ne avevo incontrata  un’altra, più a suo agio, nel giardino del Forte Rosso di Agra, non lontano dal Taj Mahal, come descritto nel post del 1 marzo 2010. E finalmente ne avevo fotografato i fiori, bianchi nella specie B.aculeata (originaria, ma chissà, del Perù), nel giardino di villa Hanbury a Ventimiglia nel settembre 2010.

Sembra che Linneo (sempre lui) abbia chiamato questa pianta Bauhinia in onore dei due fratelli John e Caspar Bauhin, botanici svizzeri del XVI secolo, associando alla celebre coppia la doppia foglia di quest’albero. La famiglia è quella delle Fabaceae, in quella che oggi è considerata la sottofamiglia delle Caesalpinaceae, così chiamata da un altro grande scienziato e botanico dello stesso secolo, Andrea Cesalpino.

Goiaba dolcissima

Goiaba

Goiabeira a Diamantina
(Psidium guajava)

Goiaba

Goiaba
Psidium guajava

Un frutto dai molti nomi, guiava, guava o ancora guayaba in spagnolo, per me sarà sempre goiaba, il nome brasiliano. Originario dell’America, forse del Messico per la precisione, l’albero, goiabeira, è piccolo, per le misure tropicali, mai troppo appariscente, e i frutti sono verde giallo, tondeggianti, a volte leggermente piriformi. All’apparenza secchi e duri, dentro sono asprigni e dolcissimi insieme, un vero scrigno di sapore.

La cucina popolare brasiliana, del Minas Gerais soprattutto, utilizza questo frutto gustoso per svariate conserve, delle quali la più celebre è la goiabada, una marmellata solida che ricorda un po’ la nostra cotognata, anche se il sapore è immensamente più esotico e affascinante. La goiabada è la componente essenziale di un dessert molto amato, dove fettine di goiabada si accompagnano a fettine di un formaggio leggero, bianco e morbido, il “queijo mineiro”. Famosa un po’ dappertutto, tanto da guadagnarsi il soprannome di Romeo e Giulietta, la “goiabada com queijo” è sinonimo di cucina casalinga e di prelibatezze a buon mercato.

Sarà che adoro la goiabada, provo un grande affetto per questo alberello, a volte contorto, ma solido e fresco e sempre, veramente sempre, ricco di frutti.

Psidium guajava – Goiaba
Orto botanico di Palermo

Come altre piante tropicali, la goiaba cresce anche in Italia, naturalmente nel profondo sud, nella grande Sicilia, e ne ho visti diversi esemplari  nell’orto botanico di Palermo (vedi foto a destra), mentre ho sentito anche di imprese agricole che la coltivano. Ho un grande rispetto e ammirazione per questi esperimenti; tuttavia, dopo l’esperienza delle banane (vedi 6 agosto 2009), non mi aspetto che il gusto della goiabada sia proprio lo stesso.

Spathodea, l’albero dei tulipani africano

Spathodea campanulata

Spathodea campanulata

La famiglia delle Bignoniaceae comprende un nutrito numero di alberi tropicali, suddivisi in varie tribù; ma nessuno dei suoi membri è spontaneo in zone temperate, neppure la bignonia (14 luglio 2008) che è pure una presenza così familiare nei nostri giardini di campagna. Ma le piante tropicali, ormai lo abbiamo imparato, sono di bocca buona e al massimo si rassegnano a spogliarsi d’inverno, ma resistono con rabbia e allegria a tutte le interperie della nostra civiltà innaturale. Come accade per gli umani, ci sono famiglie i cui membri sono baciati dalla bellezza ed più appariscenti della media, e direi che questo è il caso delle Bignoniaceae, famiglia a cui appartengono notissime piante ornamentali.

Questo bell’albero, dai vistosi fiori arancione, è originario dell’Africa, ma diffuso parecchio anche in Brasile, anche perchè sembra piuttosto incline ad essere infestante. In Brasiliano ha molti nomi, bisnagueira e chama-da-floresta (fiamma della foresta), ma si chiama anche tulipeira-do-gabão (albero dei tulipani del Gabon).

Spathodea campanulata

Spathodea campanulata

Per non confonderlo con l’albero dei tulipani per antonomasia, Liriodendron tulipifera, in italiano si chiama albero dei tulipani africano, che in fondo traduce il concetto di tulipeira-do-gabão. Accetto, ma non approvo, perchè i fiori della Spathodea campanulata hanno assai poco dei tulipani. Per ricordarmi da vicino la loro forma, ne ho fotografato un esemplare, caduto e malconcio, raccolto da terra nel fiabesco villaggio di Biribiri, vicino Diamantina, Minas Gerais. (Anche il biribiri è un frutto brasiliano, simile alla carambola e spero che presto potrò dedicargli un post.)

Dillenia indica, la mela degli elefanti

Dillenia indica

Dillenia indica

Dillenia indica è una bella pianta asiatica che in quasi tutte le lingue si chiama ‘mela degli elefanti’, in inglese elephant-apple, in francese pomme d’éléphant, in spagnolo manzano de los elefantes e naturalmente in brasiliano, cioè in portoghese, maçã-de-elefante. Solo in italiano non ha nome, probabilmente perchè non ne ha bisogno essendo quasi completamente sconosciuta, ma dobbiamo chiamarla noi, mela degli elefanti. E’ un piccolo albero, rotondeggiante e molto ornamentale, dalle lunghe foglie  lucide, solcate da nervature regolari. I fiori pare siano vistosi e profumati, ma io non li ho mai visti. E i frutti, le famose mele, sono verde giallo brillanti, globose, ricoperte dal calice carnoso, che sono i sepali ispessiti del fiore.

Dillenia indica

Dillenia indica, la mela degli elefanti

Gradito alle scimmie e agli elefanti (da cui il nome), il frutto della Dillenia non è molto consumato dagli umani così com’è, per il sapore acidulo e poco allettante, ma viene usato soprattutto come addittivo naturale nelle salse, per insaporire il curry, marmellate e gelatine. Tutta la pianta contiene principi attivi salutari che ne hanno fatto una protagonista della medicina popolare. Viene impiegata in India e Vietnam per curare varie affezioni intestinali, che vanno dalla stitichezza ai dolori addominali, ma anche l’inappetenza, la febbre, la tosse, e la stanchezza. In campo cosmetico e dermatologico, estratti di questa pianta sono efficaci rimedio contro la forfora e le macchie scure della pelle. E’ sempre abbastanza sorprendente scoprire per quante diverse affezioni una pianta possa essere utilizzata dalla medicina tradizionale. Sorprendente, ma non troppo, se ci addentriamo nella fitochimica delle piante per scoprire quante diversi componenti attivi, antiossidanti come flavononi e flavonoidi, terpeni come acido betulinico e molto altro ancora, contiene la scorza, la radice, il fiore e il frutto di questa pianta, come diversi e svariati sono i componenti attivi di tutte le specie vegetali.

La famiglia, Dilleniaceae, diffusa in Asia e Australia e negli ambienti tropicali e subtropicali, è una di quelle che ancora ci serbano interessanti sorprese. Per me è già stata una sorpresa incontrarla, in Brasile naturalmente, perfettamente a suo agio al bordo della serra, con le sue mele luminose e pulite.

Guarapuruvu, l’albero più bello del Brasile

Guarapuruvu - Schizolobium parahyba

Guarapuruvu
Schizolobium parahyba

Questo esemplare, relativamente minuto, svettava al tramonto nel cielo di Inhotim (Minas Gerais, Brasile), fantastico museo all’aria aperta di arte e botanica del Nuovo Mondo.

Nativo dell’area neotropicale, il guarapuruvu è una creatura tipica della mata atlantica. E’ l’albero simbolo di Florianopolis, capitale dello stato di Santa Catarina, ma si trova anche molto più a Nord, nello stato di Bahia.  Inizialmente descritto come Cassia parahyba, è un albero alto e flessuoso, certamente molto ornamentale, dall’accrescimento rapido e morbide fronde a ventaglio. Foglie composte di piccole foglioline che rivelano l’appartenenza alla famiglia delle Fabaceae.
I brasiliani orgogliosi me lo presentano come l’albero più bello del Brasile, precisandomi che questo è un individuo piccolino perchè l’albero cresce cresce e raggiunge anche i trenta metri di altezza.

Cliccate sull’immagine per vederla in dimensione reale in un’altra pagina

Palma diamante

Johannesteijsmannia altifrons

Palmeira-diamante
Johannesteijsmannia altifrons

Ed eccomi nel parco di Inhotim, comune di Brumadinho, stato del Minas Gerais, non troppo lontano dalla capitale Belo Horizonte e da Betim, città industriale che ospita la fabbrica brasiliana della Fiat. Inhotim è un parco, ma è anche una galleria d’arte moderna, ma è anche un giardino botanico tropicale, ma è anche una collezione di esposizioni artistiche, un palcoscenico naturale, una raccolta di idee e di riflessioni sul mondo.

Ideato e realizzato dall’imprenditore minerario Bernardo Paz, anche per preservare l’ambiente naturale dell’area dal selvaggio sfruttamento industriale, è una raccolta di opere d’arte moderna su ispirazione dell’artista Tunga e un giardino disegnato e progettato dell’architetto paesaggista Roberto Burle Marx. La leggenda vuole che il nome derivi dal nome del precedente proprietario del luogo, un ingegnere inglese noto come Senhor Tim, che diventa Nhô Tim nel dialetto del Minas Gerais.

Vi si trovano 23 opere d’arte all’aria aperta e 23 gallerie d’arte e fotografia. La mappa indica inoltre 30 piante o alberi di interesse botanico. Ma non sono i soli. Io ho scelto questa lussuosa palma diamante, che non c’è sulla mappa, una palma grandiosa che viene dal sudest asiatico, Sumatra e Malesia, e naturalmente qui si trova benissimo. Ha un nome scientifico quasi impronunciabile, ovviamente in onore dell’insigne botanico di turno (Johannes Elias Teijsmann, olandese, direttore del giardino botanico di Bogor in Indonesia).

Cliccare sull’immagine per vederla in dimensione reale in un’altra pagina

Il grande e buono albero del mango

Mangifera indica

Albero del mango
Mangifera indica

Originario dell’India, o meglio del Sudest asiatico, l’albero del mango si è lentamente, ma inesorabilmente adattato in tutte le zone tropicali del mondo. Che sia un albero straordinario, lo testimonia la sua storia millenaria e molte leggende, per lo più indiane, della sua magnificenza. Pimentel Gomes, autore di un importante manuale di frutticultura brasiliana, racconta che l’imperatore Akbar Mogul, che regnò nell’India del Nord dal 1556 al 1605, quando ancora i frutteti erano cose da contadini, fece piantare mille alberi di mango vicino a Darbhanga, dimostrando con questo gesto il valore che una civiltà magnificente come quella indiana attribuiva all’albero del mango. Tre secoli dopo, il frutticoltore inglese Charles Maries trovò alcuni esemplari di quegli alberi ancora vivi e vegeti, una prova dell’estrema longevità di questi alberi.

Mangifera indica

Albero del mango
Mangifera indica

Furono ancora una volta i grandi navigatori portoghesi a contribuire alla diffusione di questa specie in tutto il mondo, esportandolo dapprima in Africa e poi in Sud Ameriaca, da cui raggiunse nel XIX secolo il Messico e la Florida.

Frutti del mango

Frutti del mango
in una casa rurale dell’interno di Bahia

Il mango, mangeira in portoghese, si è adattato benissimo in Brasile, da Belem a Rio, ed è certamente uno degli alberi più rappresentativi della flora rurale brasiliana e uno dei primi che anch’io ho imparato a riconoscere. Alto, fiero e generoso, ha una imponente forma arrotondata, foglie lunghe, solide, lucenti, con ampie nervature e infiorescenze dorate e lussureggianti. Il frutto, lo sanno tutti, è ottimo e nutriente e ne esistono centinaia di varietà, di cui diverse decine tipiche brasiliane.

Alle nostre latitudini, l’albero di mango si trova praticamente soltanto come curiosità botanica nei giardini (ne avevo mostrato uno dell’orto botanico di Lucca il 16 settembre 2009), ma anche coltivato ad arte soprattutto in Sicilia.

Tutti i cedri del mondo

Cedri - Cedrus libani

Cedrus libani – Orto botanico di Lucca
settembre 2010

Esistono quattro specie di cedri, genere Cedrus, della famiglia delle Pinacee. Tutti e quattro sono originari di una regione montuosa molto circoscritta e particolare. Il più famoso è il cedro del Libano, che appare in sagoma stilizzata sulla bandiera del suo paese. Poi c’è il cedro dell’Himalaya o deodara, dalla forma conica e compatta, diversa dalla chioma larga ed espansa di quello del Libano e dal fogliame grigio argenteo; il nome ‘deodara‘ deriva dal sanscrito “devadara” che significa albero degli dei ed è considerato un albero sacro. Le altre due specie sono il cedro di Cipro e il cedro dell’Atlante, la regione montuosa nell’Africa nord occidentale. Tutti sono splendide conifere ornamentali e formano rade foreste, a volte da soli, a volte insieme a pini, abeti, tassi, o anche aceri.

Il cedro del Libano nella foto a sinistra si trova nell’orto botanico di Lucca. La targa (fare click sull’immagine per vederla ingrandita) ricorda la sua età e la provenienza. L’albero viene chiamato Abies cedrus e si dice provenire dalla Siria. Quest’esemplare ha quasi 200 anni ed è molto imponente. Ha qualche acciacco, tanto che l’ultima volta che l’ho visto era puntellaCedri - Abies cedrusto per evitare il crollo di qualche ramo. Ma osservandolo si riconosce la forma inconfondibile dei cedri del Libano: chioma verde scuro, ampia e maestosa, a palchi sovrapposti, grossi rami che partendo dalla base del tronco si incurvano in alto per poi espandersi orizzontalmente.

Gli esemplari più giovani sono in genere meno riconoscibili e per distinguere fra di loro le varie specie di cedro bisognerebbe osservare coni (pigne) e foglie e a volte, naturalmente, si può sbagliare.

Le piante della seconda foto, a destra,  si trovano nel vasto parco che circonda la Badia di Tiglieto (Genova), un antichissimo complesso monastico, ampiamente rimaneggiato nel corso di molti secoli, ma che ancora conserva la maestosità e il fascino delle abbazie di montagna.

Cedri dell'Atlante

Cedri dell’Atlante nel parco Salvago Raggi della Badia di Tiglieto (ottobre 2018)

Avevo già parlato di uno di questi magnifici alberi nel vecchio blog, il 1 febbraio 2009 e lo avevo identificato come cedro deodara o dell’Himalaya Tale mi pareva per la sua forma conica e precisa.
Tornata in vista alla Badia, ho imparato un po’ di più su questo parco, per molti anni proprietà della famiglia Salvago Raggi, e apprendo che i cedri in questione siano invece cedri dell’Atlante, Cedrus atlantica.

I cedri sono anche alberi di città, come racconto in questo post nel blog “La città segreta”

Fiori di calicanto

Chimonanthus fragrans

Fiori di calicanto
Chimonanthus fragrans

Il calicanto fiorisce d’inverno. Il suo nome scientifico, come ho già scritto qualche mese fa, è Chimonanthus fragrans, o C. praecox che è sinonimo, e significa esattamente “fiore d’inverno”. E’ stato emozionante vederlo crescere, le prime foglie quasi irriconoscibili, poi sempre più simile alle aspettative, ovali, ruvide, disordinate. A tre anni dalla semina, è diventato un alberello, e l’anno scorso sono spuntati i primi tenui boccioli, pochi e tardivi. Quest’anno sono molti di più, bianco crema, sparsi sul ramo perfettamente spoglio, timidi e un po’ impacciati. Il loro cuore rosso scuro è nascosto perchè di sbocciare, con questo freddo, non osano davvero.

Corylus avellana

Amento di nocciolo
foto di Luca – dicembre 2008

Austero e profumatissimo, lo definisce Paolo Pejrone, artista di giardini, mentre l’osserva nell’inverno spoglio accanto al nocciolo, ornato anche lui di penduli gioielli. Sarà che è cresciuto sotto i miei occhi fin dal primo germoglio, sarà che i suoi fiorellini sembrano così piccoli e scarni,  mi fa tenerezza, e austero non mi sembra proprio. E se potrebbe apparire un po’ bruttino, confrontato con le lussureggianti fioriture di certi suoi fratelli, la sua impresa mi pare coraggiosa nel lucido gelo di questi giorni, e lui bellissimo.

Suo cugino estivo, il calicanto propriamente detto (Calycanthus floridus), fiorisce fra giugno ed agosto ed ha fiori rosso porpora molto scuro. Entrambe fanno parte della famiglia della Calycanthaceae, un nome che deriva dalla caratteristica forma dei fiori, dal greco κάλυξ, υκοϛ cályx, -ykos calice e άνϑοϛ ánthos fiore: un fiore fatto a calice, perché i sepali, le foglie modificate che normalmente formano il calice, e i petali, che nei fiori di solito costituiscono la corolla, sono indifferenziati. L’invernale Chimonanthus è originario dell’Est asiatico, mentre l’estivo Calycanthus dell’America settentrionale, ma sono i due soli generi della stessa famiglia, preziosi e nobili, coraggiosi e  anticonformisti, fiori ridondanti di petali/sepali, pupille scure.

Fiore di calicanto

Fiore di calicanto
sbocciato il 29 gennaio, primo giorno della merla