Camassia

Camassia cusickii

Camassia cusickii

Pianta americana, è arrivata nel mio giardino in un grande pacco di bulbi, regalo della mia amica polacca, o meglio di sua madre, esperta giardiniera. Tutti questi bulbi, crochi precocissimi e tulipani dai colori inaspettati, scille a campanelle di ogni dimensione e colore, hanno forse una stagione più lunga nei freddi climi polacchi. Splendidi e stupefacenti, molti di loro compaiono e scompaiono nel giro di pochi giorni nella nostra primavera. Così questa camassia, simile ai lilioasfodeli dei nostri prati, un tempo membri tutti, come i giacinti,  delle Hyacinthaceae, ora appartiene, secondo la moderna classificazione, alla famiglia delle Asparagaceae, in compagnia di agavi e asparagi. Gli asfodeli propiamente detti sono invece transitati per la famiglia delle Asfodeliaceae, per approdare, insieme alle aloe, nelle Xanthorrhoeaceae. Ricordare le classificazioni non è per me sterile esercizio di memoria, ma è un aiuto creativo per ricordare nomi e storie dei fiori.

Camassia, semi

Camassia cusickii, semi


Tornando alla camassia, i suoi tuberi sono biancastri, come quelli delle scille, e gli steli alti, con pesanti infiorescenze. Ci si aspetta una fioritura esplosiva, ma i fiori, bianchi nella C. cusickii, specie a cui attribuisco la mia, sono invece sorprendentementi esili e fugaci, e scompaiono velocemente per fare posto a pesanti semi poliedrici, che viceversa durano qualche mese.
Ragiono che in questo caso l’impollinazione deve essere rapida e fortunata, di modo che i fiori hanno utilità breve. Quando anche i semi imbruniscono e cadono, restano solo lunghe foglie molli che lentamente appassiscono. Piccola stella senza cielo la camassia bianca, dura poco, ma sempre si fa desiderare.

Coride di Montpellier

Coris monspeliensis

Coris monspeliensis

E’ arrivato il tempo della gita a Dolcedo per rinnovare le nostre scorte d’olio d’oliva. L’anno passato non è stato un anno positivo per la raccolta delle olive, ma le colline imperiesi hanno resistito alla cattiva sorte e, seppure più costoso, l’olio c’è. La gita è molto piacevole perchè l’ambiente e la stagione sono fra i più favorevoli per le scoperte botaniche. Dopo una tappa a Civezza, piccolo borgo alle spalle di Imperia che ancora non conoscevo, ci dirigiamo verso Dolcedo lungo la strada provinciale 79, poi SP43 e SP42. Tutto la regione ligure di ponente è conosciuta come riviera dei fiori, soprattutto per le coltivazioni, ma meriterebbe questo nome anche per le varietà botaniche spontanee e l’abbondanza delle loro fioriture. Fra tutte mi sorprende questa piccola pianta sconosciuta che ho potuto poi identificare, grazie a Carlo Cibei di actaplantarum. Appartiene alla famiglia delle Primulaceae e proprio per questo mi è stato molto difficile darle un nome, perchè a quella famiglia non avevo davvero pensato. I suoi graziosissimi, minuscoli fiori si raggruppano in racemi (forse volgarmente le chiameremmo spighette?) in cima a steli quasi legnosi, con foglie appuntite e carnosette che potrebbero ricordare quelle del sedum. Fiori privi di peduncolo, serrati nell’infiorescenza, fatto questo che, con un po’ di fatica, ne rivela la parentela con le più vistose primule. E’ pianta da giardini rocciosi, a volte assimilata, sbagliando, alle eriche nane e cresce soprattutto nel bacino del Mediterraneo occidentale, ma in Italia è presente anche in alcune regioni del Sud. Trovo notizie di lei soltanto nel bellissimo testo “Fiori di Liguria” di Nicolini e Moreschi (Ed.SIAG, Genova, vecchiotto, ma senza data) che la descrivono come “curiosa pianta cespugliosa, fedele abitatrice di luoghi aridi e di zone a substrato roccioso dove non soffe della concorrenza di specie più rigogliose che necessitano di terreni più ricchi”. Io l’ho incontrata in buona compagnia di asfodeli, orchidee e ginestre, altre piante che amano i crinali assolati e verdeggianti delle colline in odor di mare.

Geranio selvatico

Geranium dissectum

Geranium dissectum

Il nome geranio selvatico non è molto preciso; quasta specie si chiama più propriamente geranio a foglie divise o geranio sbrandellato, perchè, come suggerisce anche il nome scientifico (quello vero), la sua principale caratteristica sono le foglie profondamente incise, che assomigliano a un merletto o a un centrino di carta ritagliata. I fiori sono minuscoli, ma di colore brillante, rosa acceso, non passano inosservati. Come tutti i gerani ha singolari frutti a forma del becco di una gru (il nome del genere e anche dell’intera famiglia deriva da géranos che significa gru in greco).

Cresceva indisturbato in un vaso, insieme a una calendula sopravvissuta all’inverno, e già abbondantemente rifiorita. Ho atteso che facesse i fiori, e anche qualche frutto. Poi ho deciso di destinare il vaso a qualche altra semina e questo discreto geranio è stato sacrificato alla floricultura. Non so se è giusto. Non so se è giusto mangiare i broccoli ramosi calabresi che sono le cime fiorite di brassica oleracea, esattamente come le cime di rapa lo sono di brassica rapa. Da sempre vorrei chiedere a un vegano se pensa che le piante non soffrano ad essere recise, saccheggiate, eradicate. Per cibo, coltura o cultura che sia, il sacrificio di tante piante sta nell’ordine delle cose. Come le lumache che mi hanno divorato le lattughe, e ahimè, anche un bellissimo lupino rosso che si apprestava ad aprire fiori spettacolari. Come il fungo armillaria che mi ha ucciso un piccolo melo che produceva un’impressionante quantità di frutti dolcissimi. Sarà che più conosco gli animali, più amo le piante, ma la scelta vegetariana stretta in base a motivi squisitamente etici mi pare vagamente  contro natura. Io mangio verdura, il che comporta anche l’assassinio di molte piante o comunque la loro mutilazione, perchè la verdura è buona e fa bene, perchè la verdura è un alimento più ecocompatibile e più sano. Ma uccidere animali per mangiare sta semplicemente nell’ordine naturale e non mi pare condannabile di per sè.

Geranium dissectum

Geranium dissectum
foglia

 

Geraneum dissectum

Geraneum dissectum
frutti

Per questo piccolo geranio, chiedo perdono anche se non lo merito. Amo molto i gerani selvatici tutti (vedi elenco dei post che ne trattano in calce) perchè mi sembrano più liberi e puri dei pur generosissimi pelargoni (25 febbraio 2009) che fioriscono sui balconi di tutto il mondo. I gerani sono piccole piante con fiori graziosi e garbati, per fortuna piuttosto resistenti all’estinzione, diffussissimi direi, e alcuni di loro, come l’erba Roberta, decisamente infestanti.

 

Per ricordo, ecco varie immagini di questa pianta e i link ad alcuni (un bel po’ di) gerani menzionati in questo blog, vecchio e nuovo.

 

Geranio robertiano o Erba roberta, Geranium robertianum – 30 aprile 2008
Geranio crestato, Geranium macrorrhizum – 12 giugno 2010
Geranio comune, Geranium molle – 27 marzo 2010
Geranio lucido, Geranium lucidum – 6 maggio 2011
Geranio malvaccino, Geranium rotundifolium – 3 maggio 2010
Geranio minore, Geranium pusillum – 3 maggio 2010
Geranio nodoso, Geranium nodosum – 16 maggio 2009
Geranio sanguigno, Geranium sanguineum – 5 giugno 2010

Citiso e vulneraria

Cytisus hirsutus

Cytisus hirsutus

Anthyllis vulneraria

Anthyllis vulneraria

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Due piante incontrate oggi nel bosco, in una giornata incerta e nebbiosa, la prima, il citiso, sui 500 metri di altitudine (località Prato Sopralacroce, Borzonasca), la seconda, la vulneraria, quasi a 1000 metri (passo del Bocco).  Due fabacee molto simili all’apparenza. Fra le similitudini, oltre ovviamente alla famiglia, e quindi la forma del fiore, il colore e anche una certa pelosità del calice, da cui prende il nome Anthyllis (dal greco iulus, peluria) e l’aggettivo specifico di Cytisus hirsutus.
Di Cytisus ne esistono veramente molte specie, ne conto quasi quaranta in IPFI di actaplantarum, tutte piccole ginestre, con foglie a tripletta, come i trifogli (genere Trifolium) e le erbe mediche  (genere Medicago).  Fra essi si può annoverare anche il maggiociondolo, che tuttavia viene attribuito più precisamente al genere Laburnum (vedi anche 29 maggio 2009).
Anthyllis vulneraria è invece ricca di sottospecie, i libri la definiscono specie polimorfa, con fiori di diversi colori dal rosso al bianco, fino al giallo. L’aggettivo specifico, vulneraria, con cui è conosciuta nel linguaggio comune, si riferisce all’uso tradizionale e quasi leggendario di questa pianta per la cura delle ferite. La disposizione dei fiori e il numero e la forma delle foglie la differenziano in modo inequivocabile da Cytisus.

Rebutia, questa sconosciuta

Rebutia violaciflora

Rebutia violaciflora


Tutto è cominciato circa quindici giorni fa. La piccola cactacea che cresce in mezzo a una ciotola, ben riparata su un ripiano nella serra, ha cominciato a fiorire. Fiori straordinari, di colore lilla intenso, petali lisci e appuntiti, stami dorati. Qui a destra è una scatto del 21 aprile, quando ancora pensavo ancora si trattasse di una mammillaria, dato che la mia ignoranza in fatto di cactacee è profonda. Poi, pochi giorni dopo, cominciano ad aprirsi degli altri fiori, simili per molti versi, ma di brillante colore arancione. E’ possibile, mi chiedo, che una pianta faccia fiori diversi? Oggi l’arcano è svelato consultando ben due forum specializzati in cactacee. Le piante sono delle rebutie e si tratta sicuramente di due specie diverse che crescono accanto e che, tutto mi fa pensare, mi sono state vendute insieme, quasi fossero una pianta sola. Purtroppo non mi ricordo affatto nè quando nè dove le ho acquistate e forse non le avevo neppure considerate troppo, devo ammetterlo, prima di questa magnifica primavera.
Rebutie

Le due rebutie

Non sono certa di che specie di tratti. Quella con i fiori viola potrebbe essere R.violaciflora, mentre per l’altra mi è stato proposta la specie R.laui. Su uno dei miei libri guida, a cui mi piace fare riferimento piuttosto che nell’infinito intrico di informazioni del web, il manuale del Reader’s Digest “Piante in casa”, Milano 1981, sono citate almeno 20 specie di Rebutia, ma descritte soltanto cinque, fra cui R.minuscola, di cui si conoscono due varietà, R.m. var. grandiflora, con fiori rossi ed ampi e R.m. var. violaciflora, con fiori violetti, più arcuati e più precoci. E’ comunque difficile distinguerle con precisione e per il momento mi accontento del genere. Tuttavia sono preoccupata, il libro dice che le rebutie hanno vita breve, e che piante anche relativamente giovani possono letteralmente fiorire fino a morirne. Mi è accaduta una cosa del genere con una Schlumbergera, il cosidetto cactus di Natale, che si era coperta di fiori in modo vistosissimo, ma non è sopravvissuta a lungo quando i fiori sono terminati. Spero che le mie rebutie siano ancora abbastanza giovani da regalarmi qualche altra fioritura.

Persicaria capitata

persicaria capitata

Persicaria capitata

Piantina ‘scoperta’ nel buco di un muretto lungo la strada di Lorsica, piccolo comune dell’entroterra in val Fontanabuona. Di Lorsica dovrei parlare a lungo per molti aspetti interessanti che la riguardano. Ora però parlo di questa piantina. La vedo e penso che non l’ho mai incontrata prima e le sue infiorescenze rosa, compatte e grassocce, mi fanno pensare a una pianta grassa, magari addirittura messa a dimora apposta sul bordo di un giardinetto. Ma mi avvicino e capisco subito di aver preso un abbaglio, la pianticella è certamente spontanea, rampante, chissà da dove viene. Le foglie acute, con impronte nere, i fiorellini rosa arrootlati come pallini, ricorda troppo la persicaria (già mostrata con il nome di Polygonum persicaria  il 13 agosto 2009) per poter pensare a qualcosa d’altro.

Persicaria maculosa

Persicaria maculosa (foto agosto 2009)

 

 

Ma dalla persicaria comune (oggi detta Persicaria maculosa, proprio a causa della macchie nere sulle foglie, vedi foto a sinistra) è anche diversa, foglie più piccole e leggermente più tondeggianti, fiori tondi (da cui l’aggettivo capitata, a forma di capocchia) e portamento strisciante.  La nuova persicaria tecnicamente è una neofita naturalizzata e viene, manco a dirlo, dalla Cina o giù di lì. Una pianticella qualsiasi, che non serve a niente e neppure è particolarmente attraente. Però girovagando qua e là, sulla rete naturalmente, si trova, nel curioso sito Earth Medicine Institute , che qualche proprieta medicinale ce l’ha e la medicina cinese la indica per le affezioni gastro-intestinali, ma anche per la cura di ferite e lacerazioni cutanee. Salvo mettere in guardia di non piantarla troppo vicino a foreste vergini, perchè è molto molto invasiva. E’ già a Lorsica, arriverà presto anche nel mio giardino.

 

La rosa dei Cherokee

Rosa laevigata

Rosa laevigata

La rosa dei Cherokee – Orto botanico di Genova

Questa splendida, delicatissima rosa è originaria del Sud Est asiatico, ma è diventata il fiore simbolo dello stato americano della Georgia. Essa è anche il simbolo del sentiero delle lacrime, the ‘Trail of tears’, la strada lungo la quale furono deportati i nativi americani dalle loro terre di origine nel Sud Est degli Stati Uniti fino ai territori indiani dell’Ovest, nell’Oklahoma. I Cherokee furono la tribù che resistette più a lungo di tutte all’imposizione di abbandonare la loro terra e furono anche quelli che soffrirono di più nel viaggio verso l’esilio. Quasi un quarto della popolazione perì lungo la strada. La leggenda racconta che bianche rose delicate sbocciarono lungo il sentiero delle lacrime, sette petali come il numero dei clan della tribù, bianchi come le lacrime delle madri e gialle in centro come l’oro che gli Yankee portarono via agli indiani.

Olmo magico

Ulmus minor

Ulmus minor


L’olmo è un grande signore, un albero straordinario e singolare. Ha le foglie ruvide e a lembi asimmetrici, il che lo rende inconfondibile. Come molti altri alberi, fiorisce prima di mettere le foglie, ma prima ancora che le foglie siano nel pieno vigore, comincia addirittura a maturare i frutti, piccole samare verdoline che sono persino… commestibili. L’olmo minore o campestre può diventare molto grande e deve l’aggettivo specifico minor, minore, non tanto all’altezza, che può essere appunto ragguardevole, ma alla dimesione delle foglie, che sono un po’più corte di quelle dell’olmo montano, Ulmus glabra, viceversa leggermente più piccolo nel portamento. Bellissimi i rami dell’olmo carichi di frutti, quando le timide foglioline cominciano appena appena a spuntare.

Ulmus minor

Ulmus minor, samare

Ulmus minor

Ulmus minor, foglie

Ficodindia e acetosella

Opuntia ficus-indica

Opuntia ficus-indica & Oxalis pes-caprae

Li incontro spesso accoppiati in questa stagione, l’Opuntia ficus-indica (vedi anche 29 agosto 2008)e l’Oxalis pes-caprae, comunemente nota come  acetosella gialla (vedi 26 gennaio 2010 e 29 gennaio 2012). In questa stagione ancora intirizzita, anche se già respira di primavera, uniti davanti al mare, a succhiarne l’aria frizzante e amara, sulla scogliera di Quarto dei Mille.

(cliccate sull’immagine per vedere la fotografia più grande, in un’altra scheda)