Il vero papiro, la carta dell’antico mediterraneo (e in quasi tutte le lingue europee, ad eccezione dell’italiano, la parola per carta deriva da papiro, come per esempio paper in inglese e papier in francese), è una pianta di origine tropicale e non sopporta i climi rigidi. Persino il falso papiro (Cyperus alternifolius, 25 agosto 2009), che è assai più accomodante quanto a condizioni climatiche, non è sopravvissuto alla rigidezza dell’ultimo inverno nel mio giardino. Ma lui, l’originale, titolare di tanta storia, nei nostri climi può essere coltivato solo in posizioni particolarmente protette. Come naturalmente il capo Mortola di Ventimiglia, dove si trova il giardino botanico Hanbury. Là il papiro cresce presso la fontana del Drago, così denominata per il bronzo che si trova al centro del bacino. La nicchia della fontana del Drago costituisce la stazione di acclimatazione più settentrionale che si conosca per questa pianta. Là, in mezzo alle larghe foglie della colocasia, il papiro piega i fusti snelli verso la superficie dello stagno abitato da pesciolini e tartarughe, e specchia le sue chiome dorate e vibranti nell’acqua verdastra e trasparente.
Cardo pallottola
Ho incontrato questa pianta per la prima volta in Sicilia, nella riserva naturale di Marinello, ai piedi del promontorio di Tindari. Si tratta di un ambiente naturale di lagune, che si sono formate presso il mare a causa principalmente di opere umane, ma che tuttavia costudiscono una flora ricca e caratterstica. Il cardo pallottola è un’asteracea come tutti le altre stelle spinose che chiamiamo cardi, soltanto questa non una stella, ma una pallina sormontata di spine.
La specie più comune si chiama e.sphaerocephalus (qui sotto) e l’ho fotografato nel giardino botanico di Villa Hanbury. Il suo nome significa proprio con la testa a sfera e ha infiorescenze azzurrine. E. spinosissimus (foto a destra, fotografato a Marinello nell’agosto 2002) ha invece infiorescenze pallide, biancastre, più grandi, e foglie più fitte di spine.
Justicia brandegeana
Questa pianta è originaria del Messico e in italiano non ha un nome volgare. Il suo nomignolo in inglese invece è shrimp plant, pianta gamberetto, per la curiosa forma in cui sono disposte le brattee che reggono i fiori. Sia la forma che il colore ricorda la corazza di un gambero. Piante americane, essenzalmente tropicali, ne esiste tuttavia una specie che prospera in California, detta appunto justicia californica. Nella riviera dell’estremo ponente ligure trovano un clima favorevole e un cielo clemente.
Fotografata a Perinaldo, borgo limpido e aereo nell’entroterra di Sanremo. Il nome però l’ho imparato nel giardino botanico di Villa Hanbury
Amarillide belladonna
La stagione non è più prodiga di fiori, anche se alcuni, semplici e stupefacenti, spuntano come sorprese, con aria distratta e casuale, in mezzo a una natura in cui ormai prevale il giallo dell’erba secca. Molte amarillide fioriscono d’estate, come questo fiore, orignario del Sud Africa, terra di grande e inviolata varietà botanica. Amarilli era una bella pastorella celebrata dal poeta greco Teocrito e poi menzionata anche dal poeta latino Virgilio nelle sue Bucoliche, sorta di poema pastorale.
Questa amarilli fiorisce senza foglie, che compaiono dopo i fiori, e questa caratteristica le ha meritato il soprannome di ‘donna nuda’.
Fotografata nel giardino botanico di Villa Hanbury.
Efedra
L’efredina è sostanza dall’equivoca fama. Farmaco e droga, è ingrediente tradizionale degli sciroppi contro la tosse e di farmaci che alleviano i sintomi dell’asma, ma è anche un farmaco psicostimolante, usato nel controllo del peso, molto simile alle anfetamine.Viene spesso usata come sostituito dell’adrenalina in quanto è meno tossica, ha un minor potere di accumulo ed è più stabile. Le piante da cui questa sostanza deriva appartengono alla famiglia della efedraceae, le più evolute fra le gimnosperme (piante a seme nudo), tanto che vengono considerate l’anello di congiunzione fra queste e le angiosperme, piante più moderne, dotate di veri e propri frutti. La forma ricorderebbe quella degli equiseti (comunque assai più primitivi) tanto che il nome ephedra, che ha poi dato il nome anche alla sostanza, significa coda di cavallo, proprio come equiseto. Nel mediterraneo crescono alcune specie di efedra, esclusivamente nelle regioni del Sud come la Sicilia. Questa ephedra nebrodense (fotografata in giugno nel giardino botanico di Pratorondanino) deriva il suo nome dei monti Nebrodi della Sicilia, ma si chiama anche più semplicemente ephedra major.
Alta, lussureggiante e ornata di bacche rosse, l’ephedra altissima è invece originaria dell’Africa e l’ho fotografata nel giardino botanico di Villa Hanbury a Capo Mortola di Ventimiglia.
Una gita a villa Hanbury, il più bel giardino botanico d’italia e forse d’Europa (forse, dico, e lo so che all’estero passione e dedizione per il giardino sono a un livello decisamente superiore al nostro, ma è il clima di questa magica riviera che fa la differenza), e un’ubriacatura di vegetazione lussureggiante, e le piante di tutto il mondo che mi terrranno compagnia ancora per molti giorni.
Sambuco nero
Pianta comunissima nelle campagne, sui terreni umidi, ai margini dei boschi. Ne cresce un alberello sull’orlo della strada proprio di fronte a casa mia. Semi colonizzato da un’edera aggressiva, ha finalmente il sopravvento sulla sua usurpatrice quando si copre prima di ombrelle di fiori bianchi e poi di gruppi pesanti di bacche rosso nere. Conosco questa pianta da sempre, usata per le sue virtù terapeutiche o semplicemente per preparare succhi e marmellate. Siccome predilige i terreni azotati, è oggi diventata una pianta da discariche e come in altri casi, quella che era una presenza grata e piacevole, è talvolta rifiutata come invadente. Ironia della sorte, come per tante altre piante magiche del passato, anche le sue preziosissime bacche non ispirano più tanta simpatia perchè sporcano tratturi e crose, specialmente se gli uccellini le piluccano (quelli certo non le disdegnano). Le bacche infatti sono un blando lassativo e regolarizzatore delle funzioni intestinali.
Più elegante e ricercato è il sambuco di montagna (12 giugno 2008) o sambuco rosso.
Origano e maggiorana
Aromi fondamentai della cucina mediterranea, queste piante del genere Origanum, famiglia lamiaceae, l’origano e la maggiorana si assomigliano molto nell’aspetto, peraltro assai variabile, ma si differenziano per l’aroma, seppure sulle stesse note di gusto. Spezia del sud l’origano, dà il meglio di sè anche seccato, purchè a seccarlo sia un sole piuttosto robusto. Secca la maggiorana perde parte del suo fascino, mentre le foglie fresche hanno un gusto delicato e penetrante, discreto e rustico, che è il gusto della cucina ligure. Più robusto l’origano, almeno nel clima di casa mia; molto suscettibile agli sbalzi di temperatura la maggiorana, le sue preziose foglioline si macchiano e seccano con grande facilità. Ancora pochi fiorellini bianco rosati sull’origano che cresce sotto l’olivo. Sfiorita, ma ancora spavalda la maggiorana che cresce nell’aiuola di fronte.
Fiordaliso bratteato
Centaurea è il nome scientifico di tutti i fiordalisi e centaurea bratteata è un possibile nome italiano di questo bel fiore. L’amico Ale di actaplantarum dice che una volta era indicata come Centaurea bracteata e oggi va sotto il nome di Centaurea jacea L. subsp. gaudinii (Boiss. & Reut.) Gremli. Sicuramente alquanto troppo complicato per me. Tengo per buona Centaurea jacea, senza sbagliare troppo. La sua caratteristica principale che la distingue dalle altre centeuree sono le brattee, poco visibili peraltro in questa fotografia, che ricoprono l’involucro florale. Brattee con appendici chiare, convesse, biancastre più scure al centro, che le fa apparire quasi argentate. Fiore comune in questa stagione in cui le fioriture si fanno sempre più scarse nella mia campagna di Liguria, modesto ed elegante come tutti i fiordalisi.
Fotografato sulla strada di Canate.
Farfaraccio
Le piante del genere Petasites si chiamano farfaraccio o cavolaccio. Le foglie sono sempre molto grandi, esagerate. Con le foglie di Petasites hybridus, pianta comune nei lugohi ombrosi e umidi, i bambini si fanno copricapi, molto freschi. Alcune specie sono commestibili, soprattutto i gambi. I fiori spuntano all’inizio della primavera prima della foglie e, come la famiglia dovrebbe far sospettare, sono composti, (vedere P.albus, 14 aprile 2009, e P.fragrans, 7 marzo 2010), un agglomerato di piccoli fiocchi rosa o bianchi, posti alla sommità di un robusto gambo.
Sono certa che queste foglie appartengano a un Petasites perchè me lo ha detto Beata, un’amica botanica che mi ha accompagnato nella visita al giardino di Przelewice (Pomerania). Mi ha detto anche la specie, ma non me la ricordo. Molto appariscente, questa distesa di grandi foglie, pur nella penombra dei grandi alberi secolari, pioppi, frassino olmi e faggi, una distesa a perdita d’occhio di foglie che sfiorano le cosce delle persone non troppo alte come me. Sotto questo bosco di ombrelli tutto si immagina, tutto potrebbe esserci (anche se che in quell’ombra spessa di vegetali non ce ne sarà traccia).
Cencio molle o malva indiana
Ancora della famiglia delle malvaceae, quest’avventizia nata a sorpresa in giardino, è nota come infestante specie delle coltivazioni di mais. Le sue grandi foglie a cuore mi hanno incuriosito subito per la loro mollezza e morbidezza simile al velluto. Così l’ho lasciata crescere, ansiosa di capire chi fosse. Ora sarà alta circa ottanta centimetri e sono arrivati i fiorellini, gialli, che si aprono ogni tanto, quanto ne hanno voglia, seminascosti sotto le ampie foglie. E’ l’aspetto dei fiori che mi ha fatto pensare a una malvacea. Alla fine ho scoperto che la setosa consistenza delle foglie ha suggerito il nome italiano di cencio molle e quello inglese di velvet leaf, foglia di velluto, proprio come l’avevo pensata fin dall’inizio. Anche la malva indiana condivide le proprietà medicamentose di tutte le malve. Non è certo una pianta preziosa, ma ha la sua grazia e un aspetto originale; come le altre sarà la benvenuta, a patto che non diventi troppo invadente.