Carduus pycnocephalus
Lungo tutte le strade, locali, provinciali, statali e autostrade, c’è una terra di nessuno, un ciglio, un bordo, una spalliera da nulla dove sbocciano in primavera moltissimi fiori. Liberi e spavaldi, incuranti del traffico e delle miriadi di automobili, che, affannate e distratte, sfrecciano loro accanto. E a me piace l’idea di scendere dal mio cavallo di latta, e percorrere un poco quella strada inesistente per guardare i fiori.
Ecco un cardo proprio comune, bello e inavvicinabile. Lungo fino a 80 cm, esile, cresce dovunque in questa stagione, sui ciglii e negli incolti, punteggiandoli del rosa violaceo dei suoi densi capolini. Il cardo saettone è un fiore che non teme nulla, armato come è di difese, lucide, acuminate, spine che lo attraversano, orlano i suoi steli sottili, sormontano le foglie lanuginose. Non credo che nessuno, a mani nude, potrebbe mai pensare di coglierlo. Eppure anche questa pianta è nell’elenco delle foglie commestibili, medicinali, da foraggio, nei tempi quando la spazzatura era l’ultimo dei problemi della famiglia, perchè davvero non si buttava via nulla.
Il termine cardo, dal latino carduus, è probabilmente derivato dal greco κάρδος cárdos, essere duro o forseἄρδις árdis pungiglione, punta dello strale. Quando l’involucro secco, così irto di adunchi pungenti, diventava un attrezzo utile per districare la lana, nacque il verbo cardare.
Col nome comune di cardo si indicano moltissimi generi pungenti di disparate famiglie botaniche. Alle asteracee appartiene Carduus, ma anche Cirsus, Echinops, Carlina, Galactites (30 aprile 2010), Scolymus (1 luglio 2009) e molti altri ancora. Invece il più importante cardo dei lanaioli (Dipsacus fullonum, vedi 30 luglio 2009), è della famiglia delle Dipsacaceae (oggi peraltro confluita nelle Caprifoliaceae) e vi sono cardi perfino fra le ombrellifere (Apiaceae) come la calcatreppola (Eryngium campestre – 12 settembre 2009). Come dire, di cattivi soggetti il mondo è veramente pieno.