Hibiscus mutabilis

Hibiscus mutabilis

Hibiscus mutabilis

Che pianta è mai questa che cresce spavalda in un cortile di periferia con fiori che sembrano rose e foglie che sembrano pampini della vite? Devo guardarla più volte per convincermi che non è una rosa. Ingrandire la foto per sincerarmi che veramente quei fiori carnosi sbocciano su un arbusto, un arberello ordinato che non mostra neppure una spina. Assomiglia a un ibisco?  Ho cercato inutilmente il lungo pistillo come spada sguainata verso il cielo che spesso caratterizza i fiori di ibisco. Non c’è. Ma è un ibisco. Dopo varie ricerche incrociate, mi convinco che si tratti di Hibiscus mutabilis e ne leggo veramente … di tutti i colori.

Questa varietà di ibisco, originaria della Cina, si distingue per l’inusuale proprietà dei suoi fiori di mutare colore nell’arco del giorno, in risposta all’intensità e temperatura della luce. Durano un giorno soltanto e al mattino si schiudono bianchi; ma via via che il calore della luce aumenta, diventano rosa o rossi, fino al viola intenso nella sera, quando appassiscono. Non ho assistito a questa meraviglia e li ho ammirati soltanto intorno al mezzogiorno del 30 ottobre, in una giornata cominciata in altalena con una scossa di terremoto pericolosamente percepita anche nella cintura periferica di Roma dove mi trovavo. In quel giorno, e a quell’ora, l’ho già detto, apparivano in tutto e per tutto delle rose.

Hibiscus mutabilis

Hibiscus mutabilis con Brugmansia versicolor e Plumbago capensis

L’Hibiscus mutabilis è un arbusto generoso e di poche pretese, moderatamente resistente al freddo, fiorisce anche in dicembre e tollera pazientemente anche i parassiti. Ha estimatori entusiasti e anche qualche detrattore. Nel forum di actaplantarum, la mia bibbia in fatto di piante, in questo post, un utente afferma “l’ Hibiscus mutabilis viene coltivato con 2 varietà, una fiori semplici, molto bella, l’altra a fiori stradoppi, secondo me orribile”.
Forse frutto di ibridazioni senza freni e per questo a volte snobbato, questa è certamente la varietà a fiori stradoppi, e a dire il vero, a me non sembra affatto orribile. All’ombra dell’immancabile pino domestico, slanciato e regale, fra una brugmansia rosa arancio e una celestiale plumbago, non sfigura per niente. Anche se i suoi delicati fiori già stanno cominciando a cambiare colore per l’ultima volta.

Hibiscus mutabilis

Hibiscus mutabilis

Ecco qualche link per immagini ad altre specie di ibisco:

Hibiscus rosa-siniensis giallo e rosso
Hibiscus syriacus, 6 luglio 2008
Hibiscus trionum

 

Chayote, la zucca spinosa

Sechium edule

Sechium edule

Per gli estimatori della cucurbitacee è già un mito. Il chayote viene dal centro America e può essere cucinato come uno zucchino, fritto e ben condito, oppure stufato; anche foglie e radici sono commestibili.
L’ho scoperto sui banchi del variopinto mercato di Val Melàina, dove Roma assomiglia un poco a Bangkok. E poi in un favoloso orto giardino oltre le sbarre di una scuola di periferia, lungo una delle strade limitrofe, fra via delle Isole Curzolane e via Monte Ruggero. Fra bietole, spinaci e stupende spalliere di bignonia rosa, appese a steli rigogliosi sotto le grandi foglie palmate, penzolano queste piccole zucche, pelose e a forma di pera. C’è già chi lo chiama sechia, italianizzando il nome scientifico (Sechium edule). Ma il nome originale è quello della sua terra, chayote, che sa di Messico e nuvole.

Olivi a Paestum

Il sito archeologico di Paestum, comune di Capaccio, nel salernitano, è un luogo di nobile fascino.  Nulla di nascosto e segreto, tutto ostentato e grandioso, divino. Anche le piante di olivo, che potrebbero persino essere sempre le stesse, hanno un’imponenza magica.

Non sono piante da olio, sono piante da storia.

Rucola selvatica a Paestum

Diplotaxis tenuifolia

Diplotaxis tenuifolia


…dal post del 13 luglio 2009 … “Va sotto il nome di ‘rucola selvatica’ per distinguerla dall’altra rucola, forse più comune Eruca sativa (vedi 13 ottobre 2008). E’ della stessa famiglia, crucifere o brassicaceae che dir si voglia, ma diverso genere; dalla rucola comune differisce per la forma delle foglie, più lunghe e frastagliate, per l’aspetto dei fiori, ovviamente a quattro petali, ma gialli e non bianchi e anche più minuti, e per il sapore più piccante e deciso. Inoltre questa pianta è molto rustica ed è perenne anche nei climi più freddi.”
Non è il caso certo di Paestum, una stupenda piana soleggiata e aperta dove questa gustosa erbetta cresce spavalda fra le pietre, in buona compagnia.

Dal 2009 nel mio giardino si è propagata senza sosta, abbandonando la postazione originale, dove è stato messo a dimora un’ingombrante corbezziolo (Arbutus unedo). Ora cresce in mezzo ai lamponi, e nelle crepe del cemento, sempre gustosa, prima della fioritura.

Euforbia arborea

Euphorbia dendroides

Euphorbia dendroides

A monte della strada i cespugli di lantana gialla, verso il mare giù per la scogliera della costiera amalfitana prosperano le euforbie arboree (Euphorbia dendroides). Pianta antichissime, già diffuse nell’era terziaria, possono elevarsi fino a tre metri di altezza e prosperano nei climi caldi.

Euphorbia dendroides

Euphorbia dendroides

Lantana in costiera

Lantana camaraUna vistosa profusione di giallo e arancio investe il viaggiatore non appena supera la punta sopra Sorrento e scende lungo l’assolato crinale della costiera amalfitana, verso un mare di puro cristallo blu. Arduo descrivere con parole un luogo così incantevole. Ma è quanto meno curioso che il fiore dominante, in questo assolato settembre, sia la lantana camara, esotica essenza vagabonda di origine americana. Il termine ‘vagabonda’ è quello che usa  Gilles Clement, il geniale architetto paesaggista autore del manifesto del Terzo paesaggio e teorico del giardino planetario, ed è un modo romantico di chiamare quelle che gli altri paesaggisti classificherebbero come pericolose infestanti. Sono le ‘erbe, arbusti e fiori che hanno conquistato il mondo’,  si adattano ad ambienti nuovi con facilità e crescono esuberanti fuori da ogni controllo. Esistono piante bellissime e preziose che hanno questa proprietà. La lantana camara, famiglia delle Verbenaceae, è originaria dell’America e importata in Europa come ornamentale, è da tempo considerata invasiva negli ambienti tropicali. Neppure Clement le risparmia critiche, per la rigidità del portamento (crespa come gli steli delle eriche…), la rugosità del fogliame al tatto (effettivamente sembra una grattugia…) e quell’aria sicura e al tempo stesso rustica e irregolare, senza alcuna modestia. Una pianta sfacciata insomma, dalla fioritura troppo lunga, monotona, talmente presente da diventare invisibile.
E pensare che io la ammiravo  tanto le prime volte che l’avevo incontrata nei vivai una quindicina di anni fa, e la trovavo graziosa, generosa e potente. Mi aveva impressionato positivamente la sua resistenza agli estremi del clima, non al freddo certo, ma al caldo torrido dell’estate 2003, che niente ebbe da invidiare alle estati tropicali (vedi il post dell’ 8 novembre 2009). Poi la sua persistenza, capace di fiorire e rifiorire fino all’autunno (vedi 26 ottobre 2014).
Tant’è la lantana mi piace, e le perdono la brutta fama di invadente che l’ha da tempo bandita dall’Australia (paese severissimo nella guerra implacabile, anche se non so quanto efficace, contro le vagabonde di tutto il pianeta) e da vari paradisi tropicali. Non dalla costiera amalfitana però, dove tutto sommato fa proprio una bella figura.

Crassula falcata

Crassula falcata

Crassula falcata

La maggior parte delle piante del genere crassula ha fiori insignificanti. Ma in questo la crassula falcata fa decisamente eccezione.
Quando ho acquistato questa pianta, mi aveva colpito la forma singolare delle sue foglie, raccolte come un libro sfogliato, e dall’aria così robusta. Che sia una pianta tenace lo dimostra la sua autosufficienza idrica e la caparbietà con cui cresce, in questo simile ad altre succulente. Era rimasta un po’ in disparte, non proprio negletta, ma in osservazione, tanto che mi ero persino dimenticata il suo nome. Ma la fioritura, eccezionale ed assolutamente inaspettata, fitti grappoli rosso arancio in infiorescenze bifurcute, l’ha riportata prepotentemente alla ribalta. Nel frattempo  all’orto botanico di Palermo, ho riconosciuto una sua simile e recuperato il nome.
Indimenticabile adesso, che è di nuovo fiorita e ha anche alcune figlie disseminate nei vasi vicini. Un po’ di pazienza e fioriranno anche loro.

Stapelia

Stapelia grandiflora

Stapelia grandiflora

Le stapelie, queste singolari piante della famiglia della Asclepiadaceae, stanno diventando molto popolari e se ne legge sempre più frequentemente nelle innumerevoli pagine di botanica e giardinaggio.  La loro più celebrata caratteristica sono i fiori a forma di stella, larghi, piatti e pelosi, che in certe varietà ( S.gigantea ) raggiungono i 40 cm di diametro. Fiori davvero singolari e affascinanti, anche se non li definirei ‘belli’ e che possono rappresentare più un deterrente che uno stimolo a crescere queste piante in casa. Infatti essi emettono un odore caratteristico e penetrante che assomiglia a quello della carne animale in decomposizione, tanto che la pianta ha in inglese il nome comune di ‘carrion flower’ ovvero fiore carogna. E non perchè sia cattiva, ma perchè puzza, e la puzza attira mosche e insetti di vario genere, rendendo la convivenza con la magnifica stapelia ancora meno gradevole.
Sono abbastanza persuasa che la mia stapelia sia S.grandiflora. Nei cinque anni che è stata con noi, è cresciuta vistosamente ed è stata divisa in due vasi, entrambe in posizione protetta per tutto l’anno, ed entrambe oggi gravidi di boccioli. Hanno cominciato a fiorire una dietro l’altra, praticamente un fiore al giorno; perchè le stelle pelose persistono sulla pianta non più di 24 ore dal momento in cui si aprono. Il loro odore non è particolarmente intenso, forse perchè le mantengo in posizione defilata, ma comunque attira  l’interesse delle mosche che le visitano con assiduità.

Stapelia hirsuta

Stapelia hirsuta

Stapelia variegata

Stapelia variegata

Altre varietà, S. variegata e S.hirsuta, le ho incontrate alla fiera Murabilia a Lucca qualche anno fa. Il nome Stapelia, coniato da Linneo nel suo Species Plantarum, è un omaggio al medico e botanico olandese Johannes Bodaeus van Stapel.

Recentemente, nel gruppo facebook “La treccia colorata- Botanici, piante e fiori in Italia”, ho imparato che Stapelia variegata appartiene in realtà a un altro genere e il suo nome corretto è Orbea variegata, appartenente a un’altra famiglia, le Apocynaceae. Sempre secondo le indicazioni degli esperti di questo gruppo, la creazione e attribuzione al nuovo genere  si deve al botanico ed entomologo inglese Adrian Hardy Haworth, e risale al 1812 (quindi vecchio di più di un secolo ormai). Il nuovo nome deriva dalla parola latina Orbis ovvero “circolo – disco” come è la forma del fiore. Stapelia variegata L.  è rimasto come sinonimo.

Poligono del Giappone

Reynoutria japonica

Reynoutria japonica

Il poligono del Giappone è una pianta asiatica, come suggerisce il nome, che ha invaso l’Europa, l’America e l’Oceania. In diversi luoghi del mondo, Australia, Inghilterra, Scozia, diversi Stati degli USA, è illegale lasciarla crescere nel proprio terreno. Anche in Italia, l’attenzione contro di lei è alta (vedi per esempio qui). Sta nella lista delle specie più invasive del mondo, se per questo comunque in buona compagnia di piante che ci sono familiari, come la canna comune (Arundo donax), il fico d’India (Opuntia stricta, 29 agosto 2008) e persino la lantana (Lantana camara), che come la Lantana sellowiana (8 novembre 2009) in Italia viene venduta nei vivai.
Comunque il poligono del Giappone come infestante fa sul serio. Bandita da tutti, prospera. Cresce soprattutto nella vicinanze dei corsi d’acqua, sui greti dei torrenti. Le sue radici formano una fitta rete da cui spuntano continuamente nuovi fusti. Forma basse siepi compatte, che si estendono velocemente a perdita d’occhio, punteggiate dai grappoli dei piccoli, aggraziati, fiorellini bianchi.

<em>Reynoutria japonica</em>

Reynoutria japonica

Quella a sinistra l’avevo fotografata nel settembre 2013 in Val Brevenna, sul greto del torrente, presso il santuario della Madonna dell’Acqua. Negli ultimi tempi l’ho vista più frequentemente. La seconda fotografia, a destra, è stata quest’estate, sul Trebbia vicino Ottone. Ma certamente l’ho vista anche sulla sponda di altri torrenti perchè sta avanzando, davvero. Le erbe vagabonde, non le ferma nessuno.

Come tutti i nomadi senza patria, il poligono del Giappone ha molti nomi. C’è chi la chiama Fallopia japonica, nome in omaggio al grande anatomista Gabriele Falloppio (1523-1562), quello delle ‘tube’ (trombe uterine), che fu anche insigne botanico (come scrissi a proposito del poligono del Turkestan, Fallopia aubertii ovvero Fallopia baldschuanica, nel vecchio blog il 27 settembre 2009). Un altro suo nome è Polygonum cuspidatum, che ci ricorda che è appunto della famiglia della poligonacee. Ma il nome accreditato è Reynoutria japonica, poligonacea esotica in rapida espansione.
Molte poligonacee sono piante commestibili, alcune come il rabarbaro (Rheum palmatum) e il grano saraceno (Fagopyrum esculentum) intensamente sfruttate, altre tradizionalmente conosciute come insalatine di campo, come i vari romici (vedi per esempio Rumex acetosa). E il poligono del Giappone? Leggo sul bel volumetto “Elogio della vagabonde” del grande Gilles Cléments(1) che è stato proposto come foraggio per l’allevamento delle tartarughe. Un modo per rendersi utile, comunque.

(1)Titolo originale: “Eloge des vagabondes – Herbes, arbres et fleurs à la conquete du monde” traduz.di Patrizia Caporaso e Olga Zangrillo. Ed.DeriveApprodi 2010

Abutilon

Abutilon pictum

Abutilon pictum

Le piante del genere Abutilon sono anche conosciute come aceri da fiore, anche se all’acero, albero di forme spesso maestose, non mi pare assomiglino molto. Ricordano invece gli ibischi, arbusti della stessa famiglia, ed effettivamente possono diventare arbusti abbastanza grandi, ma anche essere coltivati in vaso. Quello della fotografia cresce oltre il muro di una casa a San Desiderio, delegazione periferica sulle colline genovesi (cioè non troppo lontano da casa mia). Questa specie si fa chiamare malva indiana dalla vena rossa, originario del Brasile, e il nome scientifico è sinonimo di A.striatum. I fiori imbutiformi sbocciano alla fine dell’estate con le loro sfumature intense e l’aria sfuggente e delicata, a prima vista sembrano fiori di carta. Soltanto un’impressione perchè in realtà sono piuttosto carnosi. Degni comunque della famiglia delle malvacee.

Per un altra specie del genere Abutilon, vedi Cencio molle