Stapelia

Stapelia grandiflora

Stapelia grandiflora

Le stapelie, queste singolari piante della famiglia della Asclepiadaceae, stanno diventando molto popolari e se ne legge sempre più frequentemente nelle innumerevoli pagine di botanica e giardinaggio.  La loro più celebrata caratteristica sono i fiori a forma di stella, larghi, piatti e pelosi, che in certe varietà ( S.gigantea ) raggiungono i 40 cm di diametro. Fiori davvero singolari e affascinanti, anche se non li definirei ‘belli’ e che possono rappresentare più un deterrente che uno stimolo a crescere queste piante in casa. Infatti essi emettono un odore caratteristico e penetrante che assomiglia a quello della carne animale in decomposizione, tanto che la pianta ha in inglese il nome comune di ‘carrion flower’ ovvero fiore carogna. E non perchè sia cattiva, ma perchè puzza, e la puzza attira mosche e insetti di vario genere, rendendo la convivenza con la magnifica stapelia ancora meno gradevole.
Sono abbastanza persuasa che la mia stapelia sia S.grandiflora. Nei cinque anni che è stata con noi, è cresciuta vistosamente ed è stata divisa in due vasi, entrambe in posizione protetta per tutto l’anno, ed entrambe oggi gravidi di boccioli. Hanno cominciato a fiorire una dietro l’altra, praticamente un fiore al giorno; perchè le stelle pelose persistono sulla pianta non più di 24 ore dal momento in cui si aprono. Il loro odore non è particolarmente intenso, forse perchè le mantengo in posizione defilata, ma comunque attira  l’interesse delle mosche che le visitano con assiduità.

Stapelia hirsuta

Stapelia hirsuta

Stapelia variegata

Stapelia variegata

Altre varietà, S. variegata e S.hirsuta, le ho incontrate alla fiera Murabilia a Lucca qualche anno fa. Il nome Stapelia, coniato da Linneo nel suo Species Plantarum, è un omaggio al medico e botanico olandese Johannes Bodaeus van Stapel.

Recentemente, nel gruppo facebook “La treccia colorata- Botanici, piante e fiori in Italia”, ho imparato che Stapelia variegata appartiene in realtà a un altro genere e il suo nome corretto è Orbea variegata, appartenente a un’altra famiglia, le Apocynaceae. Sempre secondo le indicazioni degli esperti di questo gruppo, la creazione e attribuzione al nuovo genere  si deve al botanico ed entomologo inglese Adrian Hardy Haworth, e risale al 1812 (quindi vecchio di più di un secolo ormai). Il nuovo nome deriva dalla parola latina Orbis ovvero “circolo – disco” come è la forma del fiore. Stapelia variegata L.  è rimasto come sinonimo.

Poligono del Giappone

Reynoutria japonica

Reynoutria japonica

Il poligono del Giappone è una pianta asiatica, come suggerisce il nome, che ha invaso l’Europa, l’America e l’Oceania. In diversi luoghi del mondo, Australia, Inghilterra, Scozia, diversi Stati degli USA, è illegale lasciarla crescere nel proprio terreno. Anche in Italia, l’attenzione contro di lei è alta (vedi per esempio qui). Sta nella lista delle specie più invasive del mondo, se per questo comunque in buona compagnia di piante che ci sono familiari, come la canna comune (Arundo donax), il fico d’India (Opuntia stricta, 29 agosto 2008) e persino la lantana (Lantana camara), che come la Lantana sellowiana (8 novembre 2009) in Italia viene venduta nei vivai.
Comunque il poligono del Giappone come infestante fa sul serio. Bandita da tutti, prospera. Cresce soprattutto nella vicinanze dei corsi d’acqua, sui greti dei torrenti. Le sue radici formano una fitta rete da cui spuntano continuamente nuovi fusti. Forma basse siepi compatte, che si estendono velocemente a perdita d’occhio, punteggiate dai grappoli dei piccoli, aggraziati, fiorellini bianchi.

<em>Reynoutria japonica</em>

Reynoutria japonica

Quella a sinistra l’avevo fotografata nel settembre 2013 in Val Brevenna, sul greto del torrente, presso il santuario della Madonna dell’Acqua. Negli ultimi tempi l’ho vista più frequentemente. La seconda fotografia, a destra, è stata quest’estate, sul Trebbia vicino Ottone. Ma certamente l’ho vista anche sulla sponda di altri torrenti perchè sta avanzando, davvero. Le erbe vagabonde, non le ferma nessuno.

Come tutti i nomadi senza patria, il poligono del Giappone ha molti nomi. C’è chi la chiama Fallopia japonica, nome in omaggio al grande anatomista Gabriele Falloppio (1523-1562), quello delle ‘tube’ (trombe uterine), che fu anche insigne botanico (come scrissi a proposito del poligono del Turkestan, Fallopia aubertii ovvero Fallopia baldschuanica, nel vecchio blog il 27 settembre 2009). Un altro suo nome è Polygonum cuspidatum, che ci ricorda che è appunto della famiglia della poligonacee. Ma il nome accreditato è Reynoutria japonica, poligonacea esotica in rapida espansione.
Molte poligonacee sono piante commestibili, alcune come il rabarbaro (Rheum palmatum) e il grano saraceno (Fagopyrum esculentum) intensamente sfruttate, altre tradizionalmente conosciute come insalatine di campo, come i vari romici (vedi per esempio Rumex acetosa). E il poligono del Giappone? Leggo sul bel volumetto “Elogio della vagabonde” del grande Gilles Cléments(1) che è stato proposto come foraggio per l’allevamento delle tartarughe. Un modo per rendersi utile, comunque.

(1)Titolo originale: “Eloge des vagabondes – Herbes, arbres et fleurs à la conquete du monde” traduz.di Patrizia Caporaso e Olga Zangrillo. Ed.DeriveApprodi 2010

Abutilon

Abutilon pictum

Abutilon pictum

Le piante del genere Abutilon sono anche conosciute come aceri da fiore, anche se all’acero, albero di forme spesso maestose, non mi pare assomiglino molto. Ricordano invece gli ibischi, arbusti della stessa famiglia, ed effettivamente possono diventare arbusti abbastanza grandi, ma anche essere coltivati in vaso. Quello della fotografia cresce oltre il muro di una casa a San Desiderio, delegazione periferica sulle colline genovesi (cioè non troppo lontano da casa mia). Questa specie si fa chiamare malva indiana dalla vena rossa, originario del Brasile, e il nome scientifico è sinonimo di A.striatum. I fiori imbutiformi sbocciano alla fine dell’estate con le loro sfumature intense e l’aria sfuggente e delicata, a prima vista sembrano fiori di carta. Soltanto un’impressione perchè in realtà sono piuttosto carnosi. Degni comunque della famiglia delle malvacee.

Per un altra specie del genere Abutilon, vedi Cencio molle

Alchemilla

Alchemilla vulgaris

Alchemilla vulgaris

Mi sono procurata una piantina di alchemilla e l’ho messa a dimora in un’aiuola. Non è molto appariscente, nè particolarmente produttiva, ma io le sono molto affezionata.
L’alchemilla è un’erba commestibile, medicinale e magica. La sua magia si chiama guttazione, il processo attraverso cui le foglie trasudano l’acqua in eccesso attraverso aperture, dette idatodi, situate lungo i margini delle foglie. L’acqua, in forma di piccole gocce dette guttule si raccoglie all’apice delle nervature fogliari. Non tutte le foglie lo fanno e non tutte in modo così vistoso come l’alchemilla. Le foglioline pieghettate di questa piantina si riempiono letteralmente di acqua e quest’acqua affascinava molto gli alchimisti i quali, non riuscendo a trovare una spiegazione scientifica, attribuivano il fenomeno a poteri magici. Così raccoglievano quell’acqua e la utilizzavano per le loro pratiche, e dalla parola alchimista deriva il nome bizzarro di questa pianticella di campo.
Così la descrive Primo Boni(1) con squisita accuratezza: “Le foglie di quest’erba (parti commestibili) sono di una finezza e bellezza incantevole. Spuntano pieghettate, quindi si aprono proprio come un ventaglio, conservando lieve traccia delle pieghe primitive. Coi bordi ricamati da una dentellatura uniforme e perfetta, sembrano fatte più per essere ammirate che mangiate.” I fiori, piccole infiorescenze verdastre quasi insignificanti, ma inconfondibili, crescono su rametti alti un palmo. E’un’erba perenne, alla fine dell’estate ingiallisce e si affloscia, ma a primavera riparte con nuova energia. Potenza delle piante perenni.
Spiega ancora Primo Boni come le foglie di alchemilla, che cresce nei pascoli d’altura dai 600 ai 2000 metri, siano un foraggio prelibato per il bestiame. Il latte delle mucche che nei pascoli si erano nutrite abbondantemente di alchemilla forniva doppia produzione di burro.
La pianta si può usare per preparare tisane e decotti curativi sia per uso interno (epatoprotettivo e diuretico) che esterno (colluttorio).

Di questa pianta avevo già parlato il 22 luglio 2011, ma ora ne ho una tutta mia.

(1)”Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche’ (Edizioni Paoline, Boni era un sacerdote, 1977)

Santolina

Santolina chamaecyparissus

Santolina chamaecyparissus

La santolina è un arrivo recente in giardino. E’ una pianta mediterranea, asciutta, argentea, profumata. Le foglie sono sottili e frastagliate, o meglio laciniate, i giovani steli coperti di peluria grigia. Il suo nome specifico, chamaecyparissus, significa ‘simile a un cipresso nano’, da cui il nome comune di santolina o crespolina cipressina. Ha un odore discreto,intenso, ma meno penetrante dell’elicriso (Helicrisum italicum, 5 giugno 2008) che le cresce vicino. E’ pianta officinale, probabilmente tossica, ora soprattutto essenza decorativa da giardino, dove dà il meglio nella primavera inoltrata e prima estate quando si adorna di capolini giallo brillante, tondi gruppi di fiori tubulosi.

Santolina ligustica

Santolina ligustica


Una sua parente un po’ speciale, Santolina ligustica Arrigoni, di cui già avevo scritto (vedi crespolina ligure, 3 giugno 2009 ) cresce solo in una piccola area dell’entroterra della Liguria di levante, fra Deiva Marina e Monterosso al mare. Ma non diciamolo troppo in giro, le specie tipiche di un areale così ridotto sono sempre a rischio di sparire. Questa fotografia è del giugno 2005, speriamo di ritrovarla ancora.

Calicanto d’inverno

Chimonanthus praecox (L.)

Chimonanthus praecox (L.)

Qualche anno fa, alla mostra mercato Murabilia di Lucca, presso lo stand dell’associazione A.Di.P.A. (Diffusione di Piante fra Amatori, l’associazione degli amici dell’orto botanico), mi hanno regalato dei semi. Ho preso quello che c’era, soprattutto perenni perchè danno più soddisfazione, così per vedere se viene qualche cosa. Non mi ricordo quali fossero, ma due non le posso dimenticare perchè sono spuntate,cresciute e vivono ancora. Una è una Centaurea, un similfiordaliso violetto, comunissimo fiore di campo su steli alti e ruvidi; è perenne e fiorisce abbondantemente tutte le estati.

L’altra pianta è un calicanto. Ne avevamo seminato almeno quattro e dato che sono germogliati tutti  quanti, due li ho regalati e due li ho conservati. In un paio d’anni hanno assunto il loro aspetto adulto, solo ancora po’ scomposti, ma determinati a crescere. Questo tipo di calicanto fiorisce d’inverno e il suo nome scientifico è Chimonanthus praecox che significa proprio “fiore d’inverno”. I fiori sono bianco crema e profumati, seppure non vistosi, le foglie sono ovali e ruvide.

I frutti non li avevo mai visti. Così quando ho incontrato quest’albero nel parco della fortezza Brunella di Aulla (Massa Carrara), l’ho guardato con curiosità perchè mi ricordava qualcosa, ma non riuscivo a riconoscerlo. Troppo singolari quelle piccole pere, o meglio fichi, che secondo un’amica che lo conosce meglio “se lasciati sulla pianta seccano e diventano di color marrone nero e sembrano dei piccoli pipistrelli”. Ora che l’ho riconosciuto spero che anche i miei due alberelli fioriranno abbastanza da farmi vedere qualche piccolo pipistrello.

Nigella, la damigella scapigliata

Nigella damascena

Nigella damascena

 
La nigella è fiorita finalmente nel mio giardino. I colori di oggi sono bianco rosato e azzurro (cliccate sulle immagini per vederle più grandi), ma forse ne mostrerà altri, perchè come tutte le ragazze scapestrate lei è piena di sorprese. Questo fiorellino strordinario nasce da semi scuri (da cui il nome nigella, da nigra), contenuti in capsule che sembra piccole lanterne. Ho raccolto qualche seme in un giardino e li ho piantati nel mio. La pianta è annuale, ma generosa, cioè non occorre riseminarla perchè provvede, in modo molto più efficiente, da sola.

Nigella damascena

Nigella damascena


Damigella scapigliata e anche fanciullaccia, le dedico questi versi scritti per una giovane ventenne da Eugenio Montale, un poeta che sempre mi capisce.
 
 

Esterina, i vent’anni ti minacciano,
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.

Hai ben ragione tu! Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle

dirocca i fortilizi
del tuo domani oscuro.
T’alzi e t’avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profìlo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sornmo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.

Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.

Aglio selvatico

Allium roseum

Allium roseum

E’ tornato a fiorire l’aglio, selvatico e imprevisto, nel prato. Delicato alla vista, pungente ed aromatico nell’odore. Si chiama Allium roseum per le sfumature rosate dei petali. Avevamo paura di romperlo, ma lui è spavaldo e robusto, oltre il tappeto di aghi di abete (sempre più maestoso l’abete, prepotente).
E’ tornato l’aglio come sei anni fa, quando lo avevo mostrato nel vecchio blog (1 maggio 2010)
“Un aglio che non si coltiva, ma si trova selvatico sui bordi delle strade di campagna e nei campi, ovunque nella regione mediterranea. In questa pianta, come in molte specie simili, i fiori sono raccolti in dense ombrelle, le quali sono inizialmente avvolte da spire papiracee. A causa dell’uso alimentare che facciamo di alcune specie di aglio (quello propriamente detto è Allium sativum), i fiori sono poco noti e si potrebbe avere difficoltà a riconoscerli. Se non fosse per l’inconfondibile odore forte e persistente che tutta la pianta emana se soffregata, un odore acre, ma appetitoso, naturalmente a seconda dei gusti … Questa specie ha i fiori rosa pallido, ovvero bianchi screziati di risa, racolti in ombrelle fitte, e portati da lunghi peduncoli. Talvolta le ombrelle contengono anche piccoli bulbilli che, cadendo, possono dare origine a nuove piante.”

Altri post sui vari tipi di Allium

Erba cipollina (2 maggio 2008)
Aglio napoletano (12 marzo 2009)
Aglio orsino e aglio delle rocce
Aglio con podalirio
Aglio triquetro
Aglio rotondo
e per altri ancora consultare la voce Allium nell’indice

L’aglio era classificato nella famiglia della Liliaceae, poi brevemente attribuito a una famiglia più specifica, tutta sua, le Alliaceae, e definitivamente inserito da APG III nelle Amaryllidaceae.

Orchide macchiata

Dactylorhiza maculata

Dactylorhiza maculata

Dactylorhiza maculata

Dactylorhiza maculata

Una delle orchidee selvatiche più comuni, almeno nei boschi delle mie parti, ma non per questo meno preziosa e straordinaria (vedi la descrizione nel vecchi blog, il giorno 9 giugno 2008). Ha molti nomi, orchide macchiata, erba d’Adamo, concordia, e anche orchidea di Fuchs, in onore del grande botanico tedesco Leonhart Fuchs, morto il 10 maggio di 450 anni fa.  La stagione fiorita delle orchidee selvatiche dura assai poco e presto restano soltanto le lunghe foglie macchiettate di nero,  e dopo ancora solo una piccola radice bulbacea conservata nella terra, per rifiorire ancora ogni primavera, dove pareva non ci fosse nulla.

Il profumo dell’orchidea
penetra come incenso
le ali di una farfalla.

(aiku di Matsuo Bashō)

Orgoglio di Madeira

Echium candidans

Echium candidans

 

E’ il parente ricco di Echium vulgare,  e di tutte le altre erbe viperine che crescono negli incolti e ai bordi delle strade e fioriscono, meravigliosamente, a primavera. Questa specie teme il freddo e prospera particolarmente appunto nell’isola di Madeira, una bellissima isola atlantica poco a nord delle Canarie.

Madeira è un’isola a me molto cara perchè l’ho conosciuta attraverso un libro che amo molto, Jane Eyre di Charlotte Bronte, e sempre è rimasta una protagonista dei miei sogni. La sua flora strabiliante, poi, mi è arrivata in casa in modo quasi inaspettato, attraverso le cartoline di un amico sconosciuto, incontrato per un fortuito intreccio postale, tradizionale, un conoscente lontano che non potrei raggiungere con il web e mi manda sempre magiche cartoline piene dei colori dell’isola dell’eterna primavera.

Ma la pianta  della fotografia dove si trova? Ma nel magnifico orto botanico di Roma, naturalmente, qualche primavera fa.

 

Cartolina da MadeiraCartolina da Madeirafrancobollo di MadeiraCartolina da Madeira