Camedrio scorodonia

teucrium scorodonia

Teucrium scorodonia


Ecco un’altra lamiacea che mi ha fatto notevolmente pensare, da molti anni poi. Però come dicevo qualche giorno fa le lamiacee non sono di difficile identificazione. La foto della pianta intera risale a due anni fa ed è stata scattata a Pratorondanino, nelle vicinanze del giardino botanico in luglio. I fiori sono ancora acerbi, anche se il loro candore luminoso crea già seri problemi all’esposizione della fotografia. La pianta si chiama volgarmente camedrio scorodonia, nome che ne indica la somiglianza con il camedrio comune, anche se, a differenza di questo, non contiene componenti tossici. Viceversa è officinale, indicata come tonico digestivo. E’ anche debolmente aromatica, tanto da meritare l’appellativo ‘scorodonia’ che significa qualche cosa come aglina, cioè all’aroma di aglio. L’ho strofinata a lungo per capire se avesse qualche cosa a che fare con mente, calaminte e nepete, ma non ho sentito nessun odore, neppure quello dell’aglio. Decisamente il mio olfatto non è molto acuto, quindi non mi stupisco.
Il particolare del fiore qui sotto appartiene a un’esemplare quasi sfiorito, ma non per questo meno abbagliante, incontrato ancora una volta vicino al lago delle Lame. Ma è un caso che si tratti ancora di una ‘lamiacea’ ;-). Una volta si chiamavano labiate, per via dei loro fiori a labbra, oggi si preferisce denominare le famiglie dal componente più rappresentativo, il lamium appunto.
teucrium scorodonia

Canapetta campestre

Canapetta

Canapetta – Galeopsis segetum

Come lascia intendere il nome, la canapetta è una pianticella molto modesta. Tanto che non trova spazio in proprio nessun libro di etnobotanica, come quasi non esistesse. So che non le rendo giustizia, se non la trovo nei miei libri, che sono veramente insufficienti a documentare la sterminata varietà vegetale, certamente avrà qualche virtù nascosta, qualche segreto ben costudito. Graziosa è graziosa, come altre lamiacee che aprono le piccole bocche decorate di colore per attirare, maliarde, gli insetti che quasi le scambiano per loro sorelle.
Si trova ancora molto vicino al lago della Lame, in val d’Aveto (Genova).

Una sua parente, la canapetta a foglie strette, Galeopsis angustifolia, l’avevo mostrata il 15 settembre 2009.

Clinopodio dei boschi

Clinopodium vulgareLe piante della famiglia delle lamiaceae si assomigliano un po’ tutte, ma per gli esperti è abbastanza facile distinguerle. Per i dilettanti come me, invece, la confusione regna sovrana. A cominciare dal fatto che questa pianta ha almeno tre diversi nomi scientifici, apparentemente tutti altrettanto legittimi, cioè oltre a Clinopodium vulgare si chiama anche Calamintha clinopodium, Satureja clinopodium e Satureja vulgaris, tutti e quattro ovviamente corredati da iniziali ovvero nomi dei botanici che le hanno battezzate. Pur essendo imparentata con calaminta (mentuccia, 24 settembre 2008) e santoreggia (22 ottobre 2008, vedi anche 3 maggio 2008), non è una pianta particolarmente aromatica, anche se usata come erba officinale per le sue proprietà digestive e dal punto di vista alimentare per aromatizzare liquori.
Fotografata dalle parti del lago delle Lame, 1000 m, nella val d’Aveto (Genova), non è pianta montana, ma comune ad ogni altitudine. Spero davvero di aver imparato a riconoscerla.

Stregona dei boschi

stachys sylvatica
Un’altra stachys, erba stregona, che non ha le meravigliose virtù officinali della betonica (4 agosto 2008), nè l’aura di mistero e magia della stregona bianca. Anche questa stregona contiene olii essenziali e qualche virtù officinale e perchè no anche magica, un poco del potere di guarire dai mali e anche dalla paura, ce l’ha anche lei. Veniva usata per tamponare le ferite e ha anche proprietà disinfettanti.

Ha fiori scarlatti, con le labbra appena picchiettate di bianco. Cresce nei boschi umidi e nei lughi ombrosi; le sue foglie e gli steli emanano un odore forte, penetrante e selvatico; infatti si dice che i suoi fusti sotterranei odorino di selvaggina.
L’ho trovata nel parco Burcina di Biella, vicino al pometo; e poi ancora nel Parco naturale delle Capanne di Marcarolo, qui fotografata nei pressi del sacrario della Benedicta, ove si ricorda una delle più sanguinose stragi di patrioti partigiani della guerra di resistenza del 1944.

Stregona

stachys rectaErba stregona, stregona gialla, si chiama anche erba della paura. Non perchè faccia paura, anzi. In Toscana, da dove le viene il nome, si dice veniva masticata per far passare lo spavento. Quindi dovrebbe essere detta piuttosto ‘erba del coraggio’.
Serve anche per guarire dai postumi della tremarella. Nell’alta Val di Vara (siamo al confine fra Liguria e Toscana), l’etnobotanica racconta dell’uso del decotto di questa pianta per lavare la persona che ha subito uno spavento: se l’acqua rimane limpida, significa che la paura è passata, viceversa se rimane torbida e viscosa. Allora le abluzioni devono proseguire fino a quando l’acqua ritorni perfettamente chiara.
E non solo, mescolata alla sommità della pianta di elicriso (5 agosto 2008), si prepara una pomata usando come eccipiente la sugna. Con questo unguento si strofina la fronte per calmare l’ansia e l’agitazione.
L’erba stregona è molto affine alla betonica (stachys officinalis, 4 agosto 2008), con la quale condivide il nome stachys che significa spiga. Ma la betonica è pianta officinale e alimurgica, la stregona invece è un’erba magica.

Fotografata sulla sella sopra Bavari (Genova), fra orchidee selvatiche e caprette voraci.

Camedrio femmina

Teucrium fruticans

Teucrium fruticans


Per trovare un po’ di colore, rovisto fra le foglie lucide e vellutate di questo camedrio ornamentale, che non dovrebbe essere fiorito in questa stagione. Sta sulla passeggiate di Nervi (Genova), di fronte al mare e laggiù, si sa, accadono anche i miracoli. E’ pieno di fiori, larghe bocche blu pallido di forme sinuose. La corolla si slancia in una specie di lingua a tre lobi, con sottili nervature violette. In questo buco nero di nebbia, riesce a farmi pensare alle orchidee. Ma non facciamo confusione, si tratta di un’umilissima lamiacea, un cespuglio diritto e ordinato, ma a suo modo lussureggiante e impavido, che non soffre i miasmi salmastri ed è per questo molto adatto ai giardini marini. La sua fioritura è primaverile, ma nessuno ormai si stupisce troppo di rifioriture tardive e inaspettate, ed indubbiamente gradite.

Queste rifioriture mettono un  po’ in crisi il botanico dilettante che cerca di riconoscere le piante dalla loro stagionalità.  Ho trovato in rete osservazioni di genziane  fiorite alla fine di settembre o alberi di Giuda (Cercis siliquastrum) che fruttificano a dicembre.

Le rifioriture autunnali sono in generale molto meno abbondanti e decise di quelle, canoniche, primaverili; sono fiori timidi e sparsi, come figli di una madre anziana. Certo il clima  umido, mite e piovoso, favorisce questi ritorni, anche se li spiega solo in parte, perchè quest’anno la stagione è stata sì piovosissima, ma tutt’altro che mite.

Clerodendro

Clerodendro
Le foglie ormai gialle, rinsecchite e accartocciate, il clerodendro o albero del destino, o meglio, se preferite, della buona sorte, si è ricoperto dei suoi piccoli frutti a stella, con bacca violacea al centro. Come il kaki (15 novembre 2009, vedi anche 28 novembre 2008) , o l’evonimo (31 dicembre 2009, vedi anche 12 agosto 2008 e 30 giugno 2010), o altri alberi a bacche colorate, si veste per la stagione da albero di Natale.

Pianta di origine orientale, viene coltivata nei giardini e per quest’uso è piuttosto comune. L’ho scoperto occhieggiando giù per il pendio della mia strada di casa, sporgendomi pericolosamente dal finestrino del mio cavallo di latta, (meglio se alle guida c’era un’altra persona) in un giardino di Bavari (Genova). Non lo avevo mai visto. Sono stata costretta dalla curiosità a ripassare per quella stessa strada, a piedi e, seppure in ritardo l’ho incontrato, dicembre 2009, ancora carico di frutti. Mi rimane il dubbio del perchè si chiami albero del destino. In precedenza assegnato alla famiglia delle Verbenaceae, secondo la moderna classificazione è viceversa incluso nelle Lamiaceae.

Pianta dell’incenso

Plectranthus
Ho messo al riparo le piante per l’inverno. Sta arrivando molto in fretta.
I fiori dell’edera svedese (altro nome del plectranthus) sono piccole boccucce bianche. Stavano in grappoletti alla sommità dei rami, lunghi e ricadenti. Ora sono quasi tutti caduti e le foglie si preparano per la brutta stagione, cambiando lentamente colore.

vedi anche 30 agosto 2008 e per i fiori 12 ottobre 2009

Agnocasto

vitex agnus-castus
Ha dei fiori molto belli quest’alberello, piuttosto un arbusto, della famiglia delle verbenaceae*, e, insieme alla verbena (11 agosto 2009), è uno dei pochi esponenti mediterranei di questa famiglia. Ma la stagione dei fiori è ormai conclusa, e anche all’agnocasto restano solo i piccoli frutti, qui ancora immaturi, carnosi, simili a bacche, nero-rossicci a maturazione; venivano impiegati come succedaneo del pepe.
Alberello dai mille segreti, indicato per risolvere molteplici problemi di salute, dalla colite al raffreddore, come lassativo o per stimolare il latte delle puerpere. Ma soprattutto è famoso per calmare i bollenti spiriti, a causa delle supposte proprietà “anti-afrodisiache”, utili per monaci e sacerdoti. Da cui il nomignolo ‘pepe dei monaci’ che si porta dietro, insieme a un nome specifico che suggerisce castità e purezza.
Strano incontro, nell’orto botanico di Genova. In Liguria non cresce spontaneo e io non l’avevo mai visto.

*Cito però da actaplantarum : La sottofamiglia Viticoideae a cui appartiene Vitex agnus-castus, prima considerata appartenente a Verbenaceae, secondo la moderna classificazione è stata inclusa nelle Lamiaceae.

Ancora una salvia

salvia greggii
Non lontano da casa mia, a Genova, in corso Dogali, c’è l’orto botanico, una specie di piccola succursale dei giardini di villa Hanbury, anch’essi di proprietà dell’Università di Genova. Così non occorre andare tanto lontano per trovare specie esotiche e ricercate. Per trovare altre salvie, oltre a quelle di ieri, come questa salvia scarlatta che viene dal Messico. In inglese si chiama salvia autunnale, ma fiorisce anche d’estate e ne esistono cultivar molto diverse per forma e colore. Il nome greggii le viene da J. Gregg, un coltivatore e collezionista che la fece conoscere al botanico che per primo la descrisse.